Gli ultimi due militari di guerra tedeschi superstiti condannati definitivamente all’ergastolo per l’uccisione indiscriminata di militari e civili italiani sono morti: si tratta, come conferma all’ANSA il procuratore generale militare Marco De Paolis, del centenario Karl Wilhelm Stark, accusato di vari eccidi commessi nel 1944 in varie località dell’Appennino tosco-emiliano e di Alfred Stork (97 anni), ritenuto responsabile di una delle stragi avvenute sull’isola di Cefalonia nel settembre 1943 nei confronti dei militari della Divisione Acqui. Nessuno dei due ha mai fatto un giorno di carcere o di detenzione domiciliare.
Sono stati 60 gli ergastoli inflitti dalla magistratura militare italiana dopo la scoperta, nel ’94, del cosiddetto Armadio della vergogna, dove centinaia di fascicoli di stragi nazi-fasciste erano stati occultati nel 1960. Ma di fatto nessuno è stato eseguito, perché le richieste di estradizione o di esecuzione della pena nei Paesi dei condannati sono sempre cadute nel vuoto. Gli unici a espiare le condanne inflitte in questa stagione processuale sono stati l’ex capitano delle SS Erich Priebke, faticosamente condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, e il caporale ‘Misha’ Seifert, il ‘boia di Bolzano’, estradato dal Canada e morto durante la detenzione a Santa Maria Capua Vetere. L’ex sergente Stark, inquadrato nella Divisione Corazzata ‘Hermann Goering’ della Wehrmacht, è morto il 14 dicembre scorso. E’ stato condannato all’ergastolo per alcuni degli eccidi compiuti sull’appennino tosco-emiliano nella primavera del ’44, in particolare quelli di Civago e Cervarolo, nel reggiano, due borghi dove il 20 marzo furono trucidate complessivamente circa 30 persone, tra cui il parroco, e quello di Vallucciole, nell’Aretino, dove oltre 100 tra uomini, donne e bambini vennero uccisi per rappresaglia. Nel 2018 una troupe del Tg1 lo scovò nella sua abitazione in un sobborgo di Monaco: l’anziano, scambiando qualche battuta sull’uscio, disse che non poteva pentirsi di “una cosa mai fatta” e che il processo era stato “una farsa”. Di Stork – la cui esecuzione penale risultava ancora pendente nel 2020, al pari di quella per Stark – solo di recente si è saputo che è morto il 28 ottobre 2018. L’ex caporale dei Cacciatori di montagna (Gebirsgjager), è stato condannato per l’uccisione di “almeno 117 ufficiali italiani” sull’isola di Cefalonia, nel settembre 1943. Stork aveva confessato in passato agli inquirenti tedeschi di aver fatto parte di uno dei plotoni di esecuzione attivi alla ‘Casetta rossa’, dove venne trucidato l’intero stato maggiore della divisione Acqui. “Ci hanno detto che dovevamo uccidere degli italiani, considerati traditori”, affermò. Una testimonianza, ricca di particolari agghiaccianti, che Stork si rifiuterà di ripetere in seguito ai magistrati italiani. Le fucilazioni andarono avanti dall’alba al tramonto: “I corpi sono stati ammassati in un enorme mucchio uno sopra l’altro… prima li abbiamo perquisiti togliendo gli orologi, nelle tasche abbiamo trovato delle fotografie di donne e bambini, bei bambini”. Stork ha sempre ignorato il processo italiano e non ha nemmeno impugnato la sentenza di primo grado: la condanna all’ergastolo è diventata così definitiva. (ANSA).
=========
Pg De Paolis, pagina stragi naziste si chiude male. Magistrato ha istruito processi dopo scoperta ‘armadio vergogna’
Con la morte degli ultimi due criminali di guerra tedeschi condannati per le stragi contro i soldati e i civili italiani “si chiude una pagina giudiziaria. E si chiude male, in verità. Nessuno ha scontato la pena inflitta dal giudice”. Lo dice all’ANSA il procuratore generale di Roma Marco De Paolis, il magistrato che ha istruito decine di processi sugli eccidi nazifascisti dopo la scoperta dell’Armadio della vergogna, dove i fascicoli erano stati occultati. “Resta ormai soltanto la cronaca e la storia”, prosegue De Paolis. “C’è da un lato l’amarezza di non aver visto concluso il lungo, difficile, tormentato percorso giudiziario. Dall’altro la soddisfazione personale di aver contribuito a dare un pezzetto di giustizia, almeno una considerazione alle migliaia di famiglie italiane che non avevano avuto alcuna giustizia e che la chiedevano da tanto tempo, invano”. “In dieci anni, dal 2003 al 2013 – ricostruisce il magistrato militare – oltre 500 indagini, 17 processi, 57 condanne all’ergastolo in primo grado (molte passate – inutilmente, ahimè – in giudicato) restano certamente a dire qualcosa. Una piccola luce per le vittime, i sopravvissuti, i familiari. Tutte persone che non hanno mai chiesto vendetta ma giustizia. Anzi, talora anche meno: solo di essere considerate”. “Tuttavia – continua De Paolis – non è solo una questione di condanne ineseguite: si tratta soprattutto di indagini non compiute, processi non compiuti quando – dopo la guerra e poi anche dopo la scoperta del cosiddetto “armadio della vergogna” nel 1994 – qualcuno disse (nel 1999 e nel 2001) che tutto era finito e che non si poteva più procedere. I fatti hanno smentito questa sorta di depistaggio. Come ho detto, a La Spezia, a Verona e poi a Roma sono stai celebrati ben 17 processi. Solo qualche giornalista coraggioso – come Franco Giustolisi – levò la sua voce; altri, molti altri hanno taciuto. Scrissi nel 2014 al Presidente Napolitano proprio per esprimergli il disagio di questa giustizia trascurata e incompiuta”. “Certo, non sono un utopista – dice ancora il procuratore generale militare – e so bene che fare giustizia è una delle cose più difficili e certamente le condanne e le esecuzioni penali non restituiscono i propri cari alle famiglie e non esisterà mai un risarcimento – anche economico – o una condanna penale che lenirà il dolore per la perdita dei propri padri, madri, figli o fratelli. Ma qualcosa di più dalla Germania e dall’Austria si poteva e si doveva ottenere. Senza però dimenticare – conclude – che anche noi avremmo dovuto e potuto dare alla Grecia, alla ex Jugoslavia e a quei paesi dove ci siamo macchiati di atrocità e crimini di guerra, quella considerazione e quella giustizia che abbiamo chiesto a Germania ed Austria. Speriamo che questo patrimonio giudiziario e morale non venga dimenticato o disperso e possa essere conservato e tramandato ai giovani”. (ANSA).