Strage Georgofili, a 25 anni manca ancora parola fine A Firenze si indaga ancora una volta sui ‘mandanti occulti’

(di Domenico Mugnaini) Quando i centralini dei vigili del fuoco, carabinieri e polizia iniziarono a suonare mezza Firenze era gi… in piedi, svegliata da quel forte boato che non era il terremoto come in molti pensarono. Qualcosa di grave, alle 1,04 del 27 maggio 1993, era successo tra la Galleria degli Uffizi e piazza Signoria. Le fiamme e il fumo si alzarono subito mentre i vetri dei palazzi saltavano anche al di l… dell’Arno come quelli del museo, di Palazzo Vecchio, e la storica torre del Pulci, sede dell’ancor pi— antica Accademia dei Georgofili, che aveva resistito nei secoli, si sbriciolava uccidendo Caterina, di soli 50 giorni, Nadia di 9 anni, i loro genitori, Fabrizio Necioni, 39 anni, e Angela Fiume di 36, e Dario Capolicchio, uno studente 22enne che abitava in un appartamento davanti alla torre. 48 furono i feriti e incalcolabili i danni al patrimonio storico-artistico. A 25 anni di distanza su quell’attentato non Š stata messa la parola fine e la procura di Firenze, da qualche mese, ha aperto una nuova inchiesta sui cos detti ‘mandanti occulti’, su una verit… che potrebbe cambiare la storia del Paese ma che, per farlo, deve trovare il bandolo di una matassa fino ad ora mai sciolta. Quella notte le sirene delle ambulanze e dei pompieri risuonarono subito in tutto il centro di Firenze. Ai primi soccorritori apparve uno scenario di guerra: nel loggiato degli Uffizi si camminava su un tappeto di vetri, entrare in via Lambertesca e in via dei Georgofili, dove dai tubi del gas si sprigionavano alte le fiamme, era quasi un’impresa. Poche ore dopo, intorno alle 6, per il procuratore capo Piero Luigi Vigna e per il pm Gabriele Chelazzi, quella che sembra una tragica fatalit… causata da una grossa fuga di gas, divent• un’altra verit…: era stata una mano assassina a posteggiare in quel piccolo vicolo un Fiat Fiorino riempito con quasi 300 chili di tritolo. Un atto terroristico che nei primi momenti nessuno riusc a catalogare. Un anno prima le stragi di Capaci e Palermo avevano ucciso Falcone e Borsellino e gli uomini delle scorte. Ma Firenze era lontana dalla Sicilia: che interesse poteva avere la mafia? Eppure fu proprio questa la pista seguita dagli inquirenti fiorentini che ben presto collegarono a Cosa nostra gli autori e i mandanti di quella strage. Come poi stabilirono i processi, i boss Tot• Riina e Bernardo Provenzano, con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, avevano progettato di colpire lo Stato, per chiedere di allentare il regime del 41 bis. Cosa c’era di meglio e di pi— facile da attaccare del suo patrimonio artistico? Ecco perchŠ Firenze divent• un obiettivo primario. Nel 1996, il primo processo si concluse con 14 condanne all’ergastolo. Quattro anni dopo, nel secondo processo, all’ergastolo venne condannato anche Riina, considerato l’ideatore. Poi altri processi e altre condanne, per Francesco Tagliavia e per il pescatore siciliano Cosimo d’Amato che avrebbe fornito il tritolo. Delle indagini si sono occupati prima Vigna e Chelazzi (quest’ultimo morto per un infarto nell’aprile 2003), poi i pm Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini. Tante anche le inchieste ‘difficili’, a partire da quella aperta nel 1996 dopo le dichiarazioni dei primi pentiti, per capire se c’erano stati i ‘mandanti occulti’ di cui parlavano gi… nei mesi successivi alla strage Vigna e Chelazzi. Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri vengono indagati ma il gip Giuseppe Sorresina due anni pi— tardi archivier… l’inchiesta. Le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza danno nuova linfa agli inquirenti fiorentini che, tra il 2009 e il 2013, tornano ad occuparsi del leader di Forza Italia. Mai su quest’inchiesta ci sar… una conferma dalla procura e nessuna prova venne trovata. Nell’estate del 2017, con l’arrivo a Firenze, da Palermo, delle trascrizioni delle intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano, nell’ambito dell’inchiesta sulla ‘trattativa’ Stato-mafia, il procuratore Giuseppe Creazzo riapre un fascicolo, affidato al sostituto Luca Turco e al pm Angela Pietroiusti, su Berlusconi e Dell’Utri. Il boss di Brancaccio, riferendosi alle stragi del 1993, parlerebbe infatti di un piacere chiesto a Cosa nostra da Berlusconi. Le carte, ma alla procura fiorentina hanno le bocche cucite, sarebbero in mano agli uomini della Dia che l cercano nuovi spunti di indagine. Un lavoro certosino, secondo alcune fonti, che al momento non avrebbe prodotto novit…, e che appare lungo: si tratterebbe di rileggere oltre un anno e mezzo di intercettazioni, senza la certezza di un risultato che chiuda, in un modo o nell’altro, la storia di quella notte del 27 maggio 1993. (ANSA).Ex direttrice Uffizi, Stato pi— forte tritolo Il monito: mai abbassare guardia, insegnamento per il futuroÿ(di Tommaso Galigani) Nella solitamente tranquilla Firenze era accaduto l’impossibile. Erano stati violati gli Uffizi, il tempio laico della citt…: uno dei luoghi dove si conservano le radici culturali della nostra civilt…, dove nel ‘500 erano nate le stesse origini del concetto moderno di museo. Ma non ci arrendemmo all’orrore: al contrario, ci rimboccammo le maniche e dimostrammo con tutte le nostre forze che lo Stato non si sarebbe piegato alla violenza del tritolo, della mafia. Anna Maria Petrioli Tofani, oggi ottantenne, dal 1987 al 2005 direttrice degli Uffizi, vuole ricordare cos, a distanza di un quarto di secolo, l’attentato di via dei Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993 che devast• anche il museo. Di fronte a tanta distruzione – rievoca – non riuscii a pensare, sulle prime, che potesse trattarsi di un attentato: la mia mente non accettava quell’idea. Ma ben presto divenne evidente che, per la prima volta nella sua storia plurisecolare, la Galleria era diventata un bersaglio da colpire. Restai sgomenta; ma, fin da subito, fu pi— forte la necessit… di reagire. Petrioli Tofani fu alla guida dell’immane sforzo collettivo che, appena 23 giorni dopo la strage, consent di riaprire gli Uffizi. Fu possibile solo perchŠ al museo tutti lavorammo senza soste e risparmio, 24 ore al giorno. C’era un accordo tacito ma condiviso: dimostrare, noi dipendenti dello Stato, che pur nella tragedia lo Stato non era stato sconfitto. Un’impresa che all’inizio sembrava irrealizzabile. Mancava la luce, andavamo in giro con le torce. Ci muovevamo a tentoni, in mezzo al disastro. Il danno pi— enorme lo riscontrammo all’ala di ponente, dove l’esplosione aveva letteralmente squarciato le pareti. In alcuni punti non si riusciva nemmeno a mettere piede. Ma alla fine, abbiamo rimesso ogni cosa al suo posto. Da quello scorcio drammatico di storia, ammonisce Petrioli Tofani, arriva una lezione: Non bisogna mai abbassare la guardia, il mondo di oggi Š, se possibile, ancora pi— terribile di quello di allora. Attentati terroristici, devastazioni criminali, oggi si verificano, in continuazione, e ovunque, in ogni parte del mondo. Ci• che Š avvenuto pu• ripetersi. E se vogliamo insegnare al futuro a non diventare uguale al passato sanguinoso di quella notte maledetta dobbiamo mantenere la forza di coltivarne il ricordo attraverso le generazioni. Molto, da allora, Š stato fatto. Petrioli Tofani plaude anche all’ultimo ‘miracolo’ del dopo strage, compiuto nel 25ennale dell’attentato: la ricomposizione del dipinto di Bartolomeo Manfredi ‘I giocatori di carte’, disintegrato dalla bomba e ritenuto a lungo non recuperabile. Grazie ad una campagna di raccolta fondi promossa da Uffizi, Corriere Fiorentino e Ubi Banca (26.527.50 gli euro ottenuti), l’opera Š stata rimessa insieme, frammento a frammento, con un certosino intervento portato avanti dalla restauratrice Daniela Lippi, e il 26 maggio verr… restituita alla citt… con una cerimonia in Palazzo Vecchio. Era ridotto in pezzetti minuscoli, mi si strinse il cuore quando lo vidi – ricorda ancora, un po’ commossa, l’ex direttrice – mi ritrovai a pensare, con dolore, che sarebbe stato impossibile rimetterli tutti insieme. Ma anche in questo caso, alla fine questo Š stato dimostrato: l’arte, come lo Stato, Š stata pi— forte del tritolo.(ANSA).

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