Sanità: Vannini (Fp Cgil), un New Deal per il sistema socio-sanitario

Un New Deal per il sistema socio-sanitario, che metta al centro i cittadini e i territori. È questa la prospettiva secondo Michele Vannini, responsabile dell’area sanità della Fp-Cgil. Un piano di investimenti a lungo termine, ma con effetti tangibili immediati. Le risorse necessarie sono molte, afferma Vannini, e che si chiamino Mes o in altro modo non importa. L’Italia, spiega, non è nella stessa condizione della scorsa primavera, ma si trova a fronteggiare una situazione che sta rapidamente peggiorando, con ancora forti criticità nel rapporto stato-regioni, che potrebbero avere ripercussioni negative. E al governo chiede di riprendere il dialogo, come nella prima fase della pandemia, per uscire tutti assieme dalla crisi.

Vannini, in conferenza stampa il premier Conte ha, per il momento, escluso il ricorso al Mes. Cosa ne pensa?
Guardi le voglio rispondere subito con una battuta. Non mi interessa il colore del gatto, l’importante è che prenda il topo. Il sistema socio-sanitario ha bisogno di un piano di investimenti a lungo termine ma che abbia degli effetti tangibili immediati. Servono molte risorse ed è compito del governo trovarle. Se queste risorse si chiamano Mes o in un altro modo per noi conta relativamente. Certamente il Mes è un’opzione che va tenuta in conto e che non deve essere scartata a priori. Basti pensare che i 37 miliardi riservati all’Italia sono, all’incirca, la stessa cifra tagliata al Sistema Sanitario Nazionale negli ultimi dieci anni.

Voi avete posto la necessità di un New Deal per il Sistema Sanitario Nazionale. Quali sono i pilastri?
Il New Deal per la sanità deve ripartire dai territori e rimettere al centro i cittadini. La pandemia ha messo in evidenza le criticità e le lacune dei servizi di prossimità. Sono questi la prima linea di difesa per contrastare il virus ed evitare che i nosocomi vadano sotto stress. I medici di base sono un ulteriore presidio del territorio. Quelle che noi chiediamo è che una parte di questi venga assunta direttamente dal SSN, per poter essere coordinati al meglio, all’interno di una logica più ampia. Dobbiamo ripensare anche le residenze per anziani, che nei mesi scorsi hanno vissuto momenti drammatici. Inoltre molti anzi possono essere assisti domiciliarmente, garantendo tuttavia, tutti i servizi necessari.

C’è anche l’aspetto di una maggiore retribuzione e della stabilizzazione che avete sempre sostenuto.
Certamente. Le lavoratrici e i lavoratori del SSN devono essere pagati di più e devo avere condizioni di lavoro stabili. Tutti gli ultimi provvedimenti del governo per rafforzare il personale sanitario non hanno contemplato una stabilizzazione. È anche in questo modo che riconosciamo l’eccezionale lavoro fatto da medici e infermieri, che hanno permesso al sistema di reggere l’impatto della pandemia.

Stiamo vivendo una recrudescenza molto forte dei contagi. La stiamo affrontando con le stesse condizioni della scorsa primavera, o qualcosa è cambiato?
Su alcuni aspetti abbiamo fatto passi in avanti, per altri, invece, siamo ancora indietro.

Dove nello specifico?
Come prima cosa abbiamo delle accortezze mediche e cliniche che prima non c’erano. Ora ci sono, negli ospedali, percorsi differenziati per chi è positivo al covid, e questo è una barriera per impedire che il virus si diffonda dentro le strutture ospedaliere. Inoltre abbiamo messo a punto terapie molto più efficaci.

Cosa desta ancora preoccupazione invece?
C’è ancora molta confusione nei rapporti tra il governo e la conferenza delle regioni. Questo causa un’applicazione a macchia di leopardo di alcune misure, come l’attivazione delle USCA, le unità speciali di continuità assistenziali, che non sono state avviate in tutti i territori. Ora, in più, c’è una geolocalizzazione diversa del virus, non più circoscritto in alcune aree del paese. Naturalmente il pensiero che le strutture sanitarie del Sud non riescano a sostenere l’onda d’urto che potrebbe arrivare è sempre presente.

Secondo lei andrà ripresa una discussione interno al tema dell’autonomia differenziata e sulla riforma del titolo V della Costituzione?
Credo che il paese al momento non abbia bisogno di affrontare una discussione sulla riforma del titolo V della Costituzione o sull’autonomia differenziata, i tempi poi non sarebbero maturi. Tuttavia si possono dare regole più cogenti alle regioni senza una riforma della Costituzione.

Che giudizio da all’operato del governo?
Nella prima fase ci siamo trovati davanti a una situazione non pronosticabile, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità avesse più volte messo in guardia i paesi sullo scoppio di una nuova pandemia. All’inizio il governo si è mosso bene, mantenendo vivo il dialogo con le parti sociali, che ha portato alla sottoscrizione del protocollo confederale dello scorso marzo, e a tutta una serie di altri documenti. Con la fine del lockdown e l’arrivo dell’estate c’è stato un allentamento del confronto con i sindacati, che auspichiamo possa riprendere come all’inizio per uscire tutti assieme della crisi.

di Tommaso Nutarelli da ildiariodellavoro.it

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