LAVORO: OCSE, IN ITALIA CON MAGGIORE PARTECIPAZIONE DONNE +1% PIL

Una maggiore partecipazione femminile al lavoro non solo aiuterebbe a sostenere il reddito familiare, elemento essenziale in periodi di forte disoccupazione, ma contribuirebbe anche a mitigare la pressione che deriva dall’invecchiamento della popolazione.Le proiezioni Ocse mostrano che, a parita’ di altre condizioni,se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il Pil pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno. E’ quanto emerge dal rapporto Ocse Closing the gender gap. Act now dedicato all’Italia e diffuso oggi dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.Le differenze di genere nei salari, nel settore di impiego e nella progressione professionale, si legge nel rapporto, sono meno pronunciate in Italia che in altri paesi Ocse perche’, piu’ che altrove, le donne con salari piu’ bassi hanno una maggiore probabilita’ di lasciare il mercato del lavoro. Nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e, nel 2009, il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate, poco meno della media Ocse (10%). Nel 2011 e’ stata introdotta una quota di genere del 30% nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle aziende quotate e delle aziende pubbliche; nel 2012 la stessa quota e’ stata introdotta per le liste elettorali delle elezioni parlamentari.Le donne continuano ad essere una minoranza tra gli imprenditori e si concentrano in imprese di piccole e medie dimensioni. Nel 2010 le donne erano il 22% delle imprenditrici con lavoratori dipendenti, ma il loro reddito era solo la meta’ di quello degli uomini nella stessa categoria. Le recenti riforme sulla composizione dei consigli di amministrazione promuovono una maggiore uguaglianza di genere, alla quale potrebbe contribuire anche l’introduzione del congedo di paternita’ retribuito e obbligatorio – per quanto limitato. L’introduzione dei voucher attribuiti alle madri lavoratrici che riprendono l’attivita’ lavorativa, in alternativa al congedo parentale, oltre ad offrire ai genitori lavoratori piu’ scelta per la cura dei figli, potrebbe portare ad una piu’ equa distribuzione del lavoro retribuito e non retribuito tra uomini e donne. Tuttavia l’effetto complessivo della riforma deve essere valutato anche sulla base dei tagli ai fondi pubblici allocati per i servizi all’infanzia, che si aggiungono ad una probabile riduzione nella cura informale fornita dai nonni legata l’innalzamento dell’eta’ di pensionamento. Il contributo che le donne potranno dare al mondo del lavoro, alla sicurezza economica delle famiglie e alla crescita dell’economia dipendera’ pero’ anche dalla misura in cui gli uomini in Italia saranno pronti a contribuire al lavoro domestico e alla cura della famiglia. ASCA

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