Landini, “Bene il premier, ma basta mercato ora un assunto per ogni pensionato”

Per rinascere dalla pandemia la politica, soprattutto a sinistra, «deve rimettere al centro il lavoro e i lavoratori. Credere che il mercato potesse risolvere tutti i problemi è stato un grave errore». Maurizio Landini lascia Palazzo Chigi con in tasca un accordo sui pubblici dipendenti che sblocca una situazione ferma dal 2019. L’inizio di un rapporto con il governo Draghi che dovrà affrontare nei prossimi giorni altri spinosi capitoli come il dossier Alitalia e lo scontro di Taranto sul futuro dell’Ilva e dei suoi dipendenti.

Landini, il primo intervento sindacale del governo è sul pubblico impiego. Che segnale è?
«È il segnale che la pubblica amministratone può diventare motore di sviluppo, creatrice di buonaoccupazione».

La pandemia ha rivalutato il lavoro pubblico?
«Ha rivalutato il lavoro in generale. Ha fatto capire che senza scuole e ospedali siamo tutti meno sicuri, con meno diritti».

Quali novità sono in arrivo per i pubblici dipendenti?
«Si valorizzano il contratto collettivo nazionale, scaduto dal 2019, e la contrattazione decentrata che sarà incentivata. L’impegno del governo è mettere più risorse per la revisione degli inquadramenti professionali e stabilizzare l’elemento perequativo già previsto in busta paga. La formazione diventerà permanente e si regolerà il lavoro a distanza».

Tutte richieste che trasferirete anche al settore privato?
«Certo. In molti contratti di categoria ci sono già».

Il nuovo ministro del lavoro, Brunetta, è stato per anni una specie di spauracchio per i pubblici dipendenti. Si aspettava che sarebbe stato proprio lui a sbloccare la trattativa sulla pubblica amministrazione?
«Nelle trattative conta il merito, non i pregiudizi, e in questo protocollo c’è una vera svolta. Il ministro ha avviato da subito il rapporto coni sindacati. Si è investito sul lavoro pubblico e si dà qualità a tutta la pubblica amministrazione. Tanto più avendo a disposizione le risorse del Recovery».

Draghi ricorda che l`età media dei pubblici dipendenti è di 51 anni. Piuttosto alta. Come porre rimedio?
«Innanzitutto assumendo i giovani. Il turnover è fermo da tempo e dovrà essere sbloccato. Poi tanta formazione per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Infine sperimentando anche staffette generazionali: per ogni dipendente che va in pensione, uno va assunto».

Uno a uno?
«Perché no? Prevedendo naturalmente una fase di affiancamento tra chi entra e chi esce perché non vada perduta l’esperienza di chi lascia».

Prepensionamenti?
«C’è bisogno di rimettere mano alla riforma delle pensioni. Favorire il ricambio generazionale con percorsi di accompagnamento all’uscita è anche un modo, all’interno di una riforma, per attutire l’effetto della fine di quota cento».

Un punto controverso nei contratti di lavoro sarà la regolamentazione del lavoro da casa. Avete proposte?
«Alcuni contratti nazionali lo hanno già fatto. Ora si può fare anche con le categorie del pubblico impiego».

Come evitare che il lavoro da casa diventi una via di fuga per lavorare meno?
«Dobbiamo capire che in futuro non ci sarà chi lavora da remoto e chi va in ufficio. Le due modalità saranno necessarie ad ogni persona che lavora. Per questo vanno regolate nei contratti nazionali».

Cambierà anche l’organizzazione del lavoro?
«Certo. Dovrà essere un lavoro meno gerarchico, più di squadra. In questo senso ogni dipendente dovrebbe avere maggiore autonomia».

Avviata la pratica del pubblico impiego restano sul tavolo altri due temi spinosi. Partiamo da Alitalia. Chiunque ci abbia messo mano parla di migliaia di esuberi…
«Primo: non parliamo di esuberi, sono persone. Che vanno valorizzate. Bisogna scommettere sul rilancio del turismo dopo l’epidemia e capire quale ruolo può giocare in questo progetto la compagnia di bandiera. A questo scopo è necessario un vero piano industriale che utilizzi le consistenti risorse messe a disposizione».

Che cosa direbbero i dipendenti di una fabbrica del Nord se lei andasse ai cancelli a spiegare che bisogna ancora spendere soldi pubblici per Alitalia?
«Anziché alimentare la competizione tra persone che hanno bisogno di lavorare sarebbe utile pensare a una strategia per rinnovare questo Paese. Il dramma della pandemia ci offre questa opportunità. Sfruttiamola».

Il secondo dossier è quello dell’Ilva. La magistratura chiede di chiudere l`area a caldo, cioè di far morire l’acciaieria. Qual è il suo giudizio?
«Io non mi permetto di valutare le sentenze della magistratura. Dico che sull’Ilva c’è un accordo che prevede anche l’ingresso dello Stato nella società. Quell’accordo va applicato. La produzione dell’acciaio è strategica per il Paese. E va realizzata utilizzando processi lavorativi che non inquinano. Penso che dovremo avere come prospettiva il superamento delle fonti fossili. Non possiamo permetterci di perdere l’industria dell’acciaio anche utilizzando le risorse europee per renderla ecologicamente sostenibile ».

Qual è il suo giudizio sul governo Draghi? Migliore o peggiore del precedente?
«Con il governo Conte abbiamo fatto cose importanti: i protocolli sulla sicurezza in fabbrica, il blocco dei licenziamenti, l’avvio della riduzione delle tasse sulle buste paga. Ed è il governo precedente ad aver portato a casa 200 miliardi che arriveranno dall’Europa».

Draghi invece?
«Ha certamente una grande autorevolezza e una competenza importante in un momento tanto delicato perla ricostruzione del Paese. Ma non basta una persona sola per risolvere i problemi dell`Italia. È necessario il lavoro di squadra in un confronto costante con le parti sociali».

Quando guidava la Fiom si diceva che lei stesse per fondare un partito, il partito del lavoro. Visto come vanno le cose nel Pd, a sinistra c`è chi rimpiange quel progetto. Lei?
«Nessuno mi ha mai creduto quando dicevo che non avevo alcuna intenzione di fondare partiti. Ho sempre pensato solo a fare il mio mestiere di sindacalista e rappresentare gli interessi delle persone che lavorano».

Insomma, le piace l’ipotesi di Letta alla guida del Pd?
«Non voglio entrare in questa discussione. Ho stima di Letta ma sono discussioni che lascio ad altri. Mi interessa che i partiti, e in particolare quelli che dicono di essere progressisti, tornino a rappresentare il lavoro».

Non è così?
«Per molto tempo in Italia e in Europa i progressisti hanno accettato l’idea che fosse il mercato, da solo, a risolvere tutti i problemi. Questo ha prodotto il distacco di chi lavora dai partiti e dalla politica. Da questo è nata anche la cosiddetta antipolitica. Spero che si voglia voltare pagina. E` venuto il momento di rimettere al centro il lavoro».

Di Paolo Griseri da Il Tirreno

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