Ex Ilva, torna l’acciaio di Stato: slitta all’11 dicembre la firma dell’accordo

Sul piatto 400-450 milioni di euro per l’ingresso di Invitalia nella gestione della newco, con una partecipazione iniziale al 50% dello Stato.

In programma per oggi è slittata, secondo fonti sindacali, all’11 dicembre la firma di un nuovo accordo per salvare l’acciaio italiano. Un nuovo patto tra lo Stato e ArcelorMittal per un piano industriale da 8 milioni di tonnellate di acciaio annue e piena occupazione, con l’ingresso di Invitalia nella gestione dello stabilimento di Taranto.
L’accordo eviterà che il gruppo franco indiano eserciti il diritto di recesso, il cui termine è in scadenza oggi tramite una penale di 500 milioni, e metterà la produzione di acciaio sotto il controllo del Ministero dell’Economia, attraverso l’agenzia per l’attrazione dei capitali gestita da Domenico Arcuri.
Nella fase iniziale Invitalia entrerà nella compagine societaria per una quota pari al 50% nella governance, con il direttore generale nominato dallo Stato e il consiglio di amministrazione composto da sei consiglieri, tre per parte.
Il nuovo piano industriale dovrà garantire la continuità produttiva e la piena occupazione dei 10.700 dipendenti.

Nel merito Francesca Re David segretaria generale Fiom Cgil  dichiara:
“La decisione del Governo di entrare in ArcelorMittal attraverso la controllata Invitalia all’inizio con una quota del 50% per poi salire al 60% entro giugno 2022, è importante. E’ positivo che lo Stato entri negli asset strategici dell’industria di questo Paese, a partire dalla siderurgia: è una garanzia e una scelta di politica industriale. Lo Stato non deve limitarsi ad un intervento di natura finanziaria, deve assumere nella nuova società una funzione di indirizzo strategico del progetto industriale.
La trattativa sta andando avanti esclusivamente tra Governo e ArcelorMittal e sono necessari ulteriori 10 giorni per firmare l’intesa definitiva, dopo la lettera di intenti siglata oggi. Sono ancora insufficienti però le informazioni in nostro possesso, in particolare quelle che riguardano gli aspetti legati al piano industriale di cui sono state anticipate soltanto le linee generali. Secondo tali linee si dovrebbe realizzare nell’arco temporale che va dal 2020 al 2025 una ridefinizione degli aspetti impiantistici con l’introduzione di un ciclo misto di produzione dell’acciaio da forno elettrico e da altoforno con l’affiancamento di piattaforme per la produzione di preridotto (DRI).
Tale assetto impiantistico dovrebbe garantire un volume di produzione di 8 milioni di tonnellate a regime e 10mila e 700 addetti. Ciò comporterebbe l’utilizzo della cassa integrazione per un massimo di 3mila unità nel 2021, di 2500 nel 2022, di 1200 nel 2023, e zero nel 2024. È evidente che questa ipotesi è lontana dall’accordo sindacale del 6 settembre 2018, in cui è previsto il vincolo occupazionale anche per i 1700 lavoratori in amministrazione straordinaria, e che i tempi della transizione per il completamento del piano industriale al 2025 sono difficilmente sostenibili sia per quanto riguarda il numero di lavoratori interessati sia per gli attuali livelli di copertura salariale previsto dagli ammortizzatori sociali.

Peraltro tempi così lunghi di implementazione del piano industriale non sono compatibili con una condizione degli impianti e degli stabilimenti in cui cresce l’insicurezza dovuta alla mancanza di investimenti sulla manutenzione ordinaria e straordinaria come dimostra anche il crollo della “torre faro” di oggi a Genova. È chiaro che se il 10 di dicembre si dovesse pervenire alla firma definitiva dell’accordo di coinvestimento si aprirebbe l’avvio di una trattativa con il nuovo soggetto. Per quanto ci riguarda l’accordo sindacale non potrà prescindere dalla piena occupazione in tempi e modalità” sostenibili”.

L’impatto ambientale
Polemiche anche sul fronte ambientale con il primo cittadino Rinaldo Melucci in polemica con le decisioni del Governo su Taranto.
“Finché sento parlare, tutto nella stessa equazione, di rifacimento di altiforni, di piena occupazione dentro allo stabilimento siderurgico, di piani sconosciuti del Governo e persino di sostenibilità ambientale col carbone, mi sento soltanto preso in giro, e con me sicuramente la maggioranza dei tarantini”, ha dichiarato il sindaco in una nota pubblicata su Facebook.
Melucci ritiene che una “equazione credibile e trasparente” debba contenere una valutazione del danno sanitario, un piano di completa decarbonizzazione e riqualificazione e bonifiche, con un accordo di programma.
“Il Governo dovrebbe spiegarci in fretta – prosegue – che tipo di mandato ha fornito al negoziatore Domenico Arcuri e quali obiettivi il suo accordo si prefigge, soprattutto se questi obiettivi siano orientati realmente alla soddisfazione dei tarantini e alla tutela della vita umana e dell’ecosistema. E chi guiderà, poi, questa nuova fase dell’ex Ilva? Purtroppo, non sono più sufficienti gli annunci sul cosiddetto cantiere Taranto, tutto ha il sapore di un grande palliativo, se il piano è quello di marzo con gli altiforni 4 e 5 ed un solo forno elettrico”.
Il malcontento serpeggia nella società civile, con le associazioni ambientaliste che esprimono la propria preoccupazione, per la sparizione delle “parole “green” e “idrogeno” dai proclami del Ministro Stefano Patuanelli”.
“Produrre 8 milioni di tonnellate all’anno di acciaio significherà produrre più di quanto il mercato abbisogna, motivo per cui questo nuovo accordo costituirà una nuova bolla destinata a scoppiare nei prossimi anni, allungando l’agonia del nostro territorio”, avverte l’associazione ambientalista Giustizia per Taranto, che chiede l’impiego dei fondi europei “che si intendono ancora sperperare sulla fabbrica vengano usati per risanare il territorio, tutelare i lavoratori e riconvertire Taranto!”

 

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