Sorrentino, sullo sciopero dei ”pubblici” narrazione sbagliata, vi spiego le nostre (buone) ragioni

Dice Serena Sorrentino, segretaria generale della Funzione Pubblica Cgil, che non è  una questione di soldi. O meglio. Lo è, ma non nei termini in cui è attualmente orientata la narrazione sullo sciopero indetto per il 9 dicembre. Uno sciopero sul quale molto si polemizza. E non solo  Tito Boeri e  Roberto Perotti, spesso critici nei confronti dei sindacati, che su Repubblica hanno scritto un pezzo molto duro; ma anche figure come Romano Prodi, o Pierluigi Castagnetti, si sono espressi in modo critico.

Sorrentino, voi proclamate uno sciopero dei dipendenti pubblici, in uno dei momenti piu gravi del paese, malgrado ci sia un pacchetto di risorse già stanziato per il rinnovo dei contratti. Non avete pensato che sarebbe stato come minimo impopolare?
Non siamo persone irresponsabili, come si può facilmente immaginare. E’ ovvio che per farci arrivare a una scelta di questo tipo ci hanno messo su una strada molto stretta, e questo ci costringe a scelte anche impopolari. Inoltre, stiamo scontando una narrazione che non è quella giusta.

Mi spieghi qual è quella giusta, allora.
Devo prenderla un po’ alla lontana. Ma se ha pazienza, le spiego. Allora: il sistema dei contratti pubblici è regolato per legge, dal Testo unico sul lavoro pubblico (dlgs165/01). L’articolato specifica le modalità di rinnovo dei contratti. Queste modalità prevedono che il governo fissi l’incremento dei rinnovi contrattuali, che hanno vigenza triennale, stanziando le relative risorse nella legge di bilancio; il resto dei datori di lavoro – Regioni e Autonomie Locali – adeguano i loro stanziamenti a quella stessa percentuale. L’ultima volta è stato fatto con la legge di bilancio 2017, per il triennio 2016/18, mentre quella attuale finanzierà il triennio 19/21. La prima questione che poniamo è per l’appunto questa: lo Stato, ovvero il datore di lavoro, e quindi il Governo, non ha mai, fino ad oggi, aperto un confronto col sindacato su questo rinnovo. La legge di bilancio ci è stata presentata con il testo già chiuso. Punto.

Ma il fondo per gli aumenti contrattuali è stato comunque stanziato, sono 400 milioni, per quale motivo non  vi bastano?
Intanto, perché il governo ha tradotto l’aumento percentuale previsto in modo non corretto. Ha fatto una media del pollo: l’aumento del 4,07%, pari a 107 euro medi mensili dichiarati dal governo, è frutto della media sulle retribuzioni di dirigenza e di comparto. Ma quella appunto è la media: che comprende lo stipendio del magistrato e del poliziotto, dello statale e dell’infermiere, del dirigente e dell’educatore. Il risultato è che in questo modo il peso dell’aumento contrattuale dei dirigenti ha una forbice molto ampia rispetto a quello che realmente finisce nelle buste paga dei dipendenti.

Mi faccia un esempio concreto.
Prendiamo un infermiere: rispetto allo stipendio medio annuo l’aumento spettante, in base all’applicazione del 4.07%, sarebbe di circa 70 euro lordi. Ma c’è un altro problema, e cioè che  il governo non ha considerato che da questo aumento va detratto l’elemento perequativo. Ricorda gli 80 euro di Renzi, quelli che se la busta paga aumentava andavano restituiti, eccetera? ebbene, si trovò una soluzione, che appunto è l’elemento perequativo. Ma se non viene rifinanziato con uno stanziamento specifico, come non è stato rifinanziato, significa che per tutti dipendenti pubblici – stato, sanità, enti locali – bisognerà sottrarre elemento perequativo e indennità di vacanza contrattuale. Ovvero, altri circa 23 euro. Alla fine, invece di 70 euro l’aumento effettivo sarà di appena 30 euro lordi. Questo non vale solo per il personale dello stato e dei comuni, ma anche per il personale del comparto sanitario: quell’infermiere, appunto, che abbiamo applaudito e incensato in quanto eroe della guerra al covid. Le sembra gestibile?

E il governo, lei dice, non è al corrente di tutto questo?
Non so dire se sia al corrente o meno, perché non abbiamo mai avuto la possibilità di avviare la trattativa e il confronto con il governo: abbiamo inviato la nostra piattaforma a febbraio, al ministro Dadone, ma non siamo mai stati convocati sul rinnovo del CCNL.

Be’, c’è stata di mezzo una pandemia, un lockdown, e tutto il resto.
Si, appunto: quando era necessario avere al fianco il sindacato, per esempio quando la primavera scorsa occorreva il nostro contributo per i protocolli di sicurezza, ci hanno convocato senza grandi problemi, con le riunioni a distanza. Ma non può essere che ci consultino in emergenza e ci ignorino poi. Credo che la gestione di questo rinnovo contrattuale sia stata sottovalutata, anche dal punto di vista tecnico.  E così siamo finiti in questa sorta di imbuto, per uscire dal quale occorre ora una soluzione politica.

Cosa intende per soluzione politica?
Le nostre richieste sono di tre tipi: in testa ci sono le assunzioni nella pubblica amministrazione, il secondo punto è la sicurezza e il terzo, solo il terzo, il contratto. Vogliamo capire se il governo ritiene che quello pubblico sia un settore strategico per il paese, e quindi sceglie di investirci, o se pensa che sia residuale, e quindi non cerca nemmeno  di trovare una soluzione ai problemi che noi stiamo ponendo. Ma in questo caso sarebbe una scelta sbagliata, perché a questo è legato anche il futuro del paese.

E’ questo che intende quando dice “non chiediamo solo soldi”?
Noi chiediamo, innanzi tutto, che si faccia una riflessione profonda su come riorganizzare la pubblica amministrazione anche dopo l’emergenza. Prenda la sanità: ci sono state 36 mila assunzioni con causale Covid, di cui due terzi con contratto  a termine. Cosa accadrà quando finirà l’emergenza e la causale non sarà piu’ valida? E’ un esercito di competenze che non possiamo permetterci di perdere, saranno essenziali anche dopo il covid, per esempio per abbattere le liste d’attesa sempre piu lunghe. Invece, succede che gli avvisi di reclutamento dei sanitari vanno deserti, perché chi lavora nel privato non ci pensa proprio a lasciare il suo posto per un impiego precario di qualche mese nel pubblico. Per questo chiediamo proroghe e stabilizzazioni. E ancora: la sicurezza. Nei servizi essenziali ci sono troppi contagi, qualcosa non sta funzionando. Abbiamo le maestre, tra le più esposte, che ci chiedono di avere DPI più sicuri delle mascherine chirurgiche, magari le Fpp2. Eppure, anche su assunzioni, stabilizzazioni, proroghe dei contratti a termine, non c’è mai stata una discussione. Come peraltro non c’è stata sullo smart working, anche li il governo ha deciso da solo. Lo sciopero, insomma, si colloca in questo quadro: molto più ampio di un richiesta di soldi.

Resta che nell’immaginario collettivo voi state facendo uno sciopero in un settore super garantito, che non ha mai visto a rischio il suo posto di lavoro né il suo stipendio. E questo non renderà più popolari né voi, né gli statali.
Lo so: come le dicevo, la narrazione  è che il governo ha stanziato ben 400 milioni e che a noi, gli irresponsabili, non ci bastano. Addirittura con la minaccia che, se non ci sta  bene, quei soldi verranno stornati a ristoro delle partite Iva: come se non fosse nessaria una battaglia sia per garantire ristori agli autonomi, che per rinnovare tutti i contratti pubblici e privati. Una risposta devastante. Poi, per la precisione, le ricordo che gli statali  in senso stretto sono 195 mila, su tre milioni di dipendenti pubblici: tra i quali ci sono anche circa un milione di lavoratori della conoscenza che hanno dovuto  in questo anno gestire la complessa partita della Dad, e più di 600mila lavoratori della sanità, oltre al personale delle forze dell’ordine e delle autonomie locali.

Non ci sono soluzioni, dunque?
Le soluzioni ci sono sempre. Abbiamo proclamato uno sciopero perché il nostro datore di lavoro si rifiuta di aprire un confronto. E’ facile dire alla Confindustria ‘rinnovate i contratti’ e poi non farlo con i propri. Noi diciamo al governo: convocaci, apriamo un confronto vero,  siamo disponibili a fare la nostra parte, a ragionare, come abbiamo sempre fatto. E’ un problema di volontà politica. Ma io, io sindacalista, devo decidere qui e ora. E non ci sto alla campagna che si daranno a tutti 107 euro: prima o poi qualcuno dovrà spiegare perche su assunzioni e sicurezza non ci sono interlocuzioni, e che gli aumenti per tutti i dipendenti pubblici sono meno della metà delle cifre che girano: il che, oltre che rappresentare un problema salariale, ci dice anche che non ci saranno risorse sufficienti per riformare il sistema professionale.

E se il governo vi convocasse? Lo sciopero sarebbe ritirato?
In quel caso si aprirebbe un confronto, si aprirebbe una storia tutta diversa. Noi lavoriamo fino alla fine perché si trovi una soluzione. Il mio problema non è fare o non fare uno sciopero, ma dare una prospettiva al lavoro pubblico. Ma faccio anche il mio mestiere: se non ho risposta, non mi resta che la mobilitazione. Pronta a continuare anche dopo il 9, anche il 10, l’11, finché non avremo risposta su stabilizzazioni e assunzioni e sul punto fondamentale per noi: siamo o no in grado di fare un contratto innovativo? Ma comunque vada, le garantisco una cosa: i lavoratori pubblici, anche nello sciopero, sapranno essere responsabili  nei confronti del paese.

A proposito: come stanno reagendo i lavoratori di fronte alla prospettiva di questa mobilitazione?
Alcuni concordano, altri sono perplessi, non sul merito ma sul contesto: rispecchiano il sentimento del paese. Qualcuno dice ‘ma se ci attaccano cosi, forse non hanno capito le nostre ragioni’. Ecco, dobbiamo far capire le nostre ragioni. Nei prossimi due anni usciranno 500mila persone dalla Pa, e si può approfittarne per una riqualificazione professionale, dando una prospettiva occupazionale ai giovani e innovando la Pa. Ma si può fare solo investendoci. Per dire: se fai il piano per la digitalizzazione, ma poi l’età media dei dipendenti pubblici è 57 anni, non vai da nessuna parte. Questa che abbiamo di fronte è un’occasione unica per dimostrare che il governo pensa al futuro del paese, a cosa sarà, a cosa dovrà essere l’Italia, un minuto dopo la fine dell’emergenza. Da gennaio dovremo lavorare tutti ventre a terra per il recovery fund, per la ricostruzione, il rinnovamento. E la Pubblica amministrazione è la spina dorsale di  questa operazione. Quindi il succo alla fine è tutto lì: se ci crediamo, o non ci crediamo, nel valore del pubblico. Per questo le dico: no, non è una semplice questione di ”soldi”.

di Nunzia Penelope da il diariodellavoro.it

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