“Un patto con Conte sulle riforme e ora lo Stato entri nelle imprese”

Il segretario generale della Cgil dice sì agli investimenti pubblici sul modello delle Autostrade “La proroga del blocco dei licenziamenti? Una opportunità per i datori di lavoro, possono riqualificare i dipendenti” Sì alla presenza dello Stato nel capitale delle aziende («lasciar fare solo al mercato non ha portato a grandi risultati»), prolungare fino a fine 2020 il blocco dei licenziamenti, distribuire il lavoro da casa in modo da evitare la discriminazione tra chi sta in ufficio e chi opera da remoto. Le proposte del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, sono precise.

Un giudizio sul governo?
“Questo Conte II è sicuramente migliore del Conte I”.

Landini, le aziende chiedono la fine del blocco dei licenziamenti legato al coronavirus. Siete d`accordo?
“Nei prossimi giorni, insieme a Cisl e Uil, proporremo al governo la proroga del blocco fino a fine anno”

Uno scontro frontale con le imprese?
“Al contrario: una opportunità anche per loro. Il blocco dei licenziamenti è un investimento anche per le imprese perché consentirà di avviare corsi di formazione per la riqualificazione dei dipendenti. Tutti dobbiamo collaborare per far fronte ai cambiamenti che arriveranno dopo il Covid”.

Il governo deve presentare ogni anno un centinaio di progetti per assicurarsi i finanziamenti di Bruxelles. I sindacati ne suggeriranno alcuni?
Certamente. Li abbiamo indicati durante gli Stati Generali. Ad esempio rinnovando le infrastrutture materiali e sociali con progetti di decarbonizazione, iniziative per favorire la mobilità verde, investimenti nella scuola e nella sanità, ammodernamento delle infrastrutture”.

La scuola è al centro di polemiche. Non riaprirà fino al 14 settembre, un tempo lunghissimo. Come mai?
“Il nostro impegno sindacale è quello di riaprire tutti il 14 settembre. Non bisogna pensare che i problemi siano arrivati con il Covid. Nella scuola come in altri campi i problemi c’erano già prima. Il virus li ha fatti emergere di più. La nostra scuola va riformata profondamente”.

Abbiamo una percentuale di diplomati che ci mette a fondo classifica in Europa. Che cosa proponete?
Chiediamo che l’obbligo scolastico vada da 3 a 18 anni. L’uscita dall’emergenza è un’occasione irripetibile per riformare il sistema scolastico. Dobbiamo sfruttarla. Non è sopportabile che tanti ragazzi italiani laureati vadano all’estero. La loro emigrazione è superiore all’immigrazione degli extracomunitari che tanto spaventa i sovranisti”.

Libri dei sogni? Con quali risorse si può mettere mano a un piano del genere?
“Dopo quel che è accaduto a Bruxelles nei giorni scorsi sono più fiducioso. Abbiamo assistito ad una svolta importante, impensabile fino a pochi mesi fa. Gli Stati hanno accettato l’idea di un bond per finanziare l’uscita dalla crisi del Covid. Era una delle richieste di tutti i sindacati europei”.

Conte si intesta il merito di questo risultato. Quale voto dà al Premier?
Il Conte II ha sicuramente contribuito a realizzare una svolta a livello europeo. Ed è migliore del Conte I”.

Qual è la differenza?
Durante il Conte II è migliorato il rapporto con le organizzazioni sindacali. Oggi, anche grazie all’urgenza dell’emergenza sanitaria, c’è stato con l’esecutivo e con le imprese un metodo di confronto che ha portato risultati molto positivi. Chiediamo diamo possa continuare anche dopo il ritorno alla normalità”.

Quali sono oggi le vostre richieste al governo?
“Ci sono rinnovi contrattuali che riguardano 9 milioni di persone. C’è da realizzare una vera riforma fiscale e bisogna ridurre le tasse sugli aumenti salariali dei contratti nazionali. Dobbiamo investire sulla sicurezza sul lavoro: non è possibile che appena si riaprono i cantieri si torni a morire. Con le imprese dobbiamo contrattare un nuovo sistema di formazione e organizzazione del lavoro che preveda, ad esempio, tra le due e le quattro ore di formazione permanente alla settimana all’interno dell’orario di lavoro”.

Uno degli effetti del virus è stata l`esplosione dello smart working. Non temete che le aziende sfruttino l`occasione per mettere in discussione il contratto a tempo indeterminato trasformando i dipendenti in collaboratori pagati di meno?
Non deve andare così. Lo smart working, secondo me, diventerà una delle modalità del lavoro di ciascuno. Penso che in futuro non dovranno esserci lavoratori che stanno sempre a casa e altri che vanno sempre in ufficio. Ciascuno potrebbe fare due giorni di lavoro da casa e gli altri in ufficio. Per questo penso che lo smart working avrà le stesse regole dell’altro lavoro. Se, ad esempio, io lavoro da casa di notte, devo essere pagato come se lavorassi di notte in azienda”.

Durante le trattative di Bruxelles i Paesi frugali hanno rimproverato all’Italia di mandare in pensione le persone dopo 30 anni di lavoro contro i 40 dell’Europa del Nord. Di chi è la colpa? “Questo è uno degli esempi di come l’evasione fiscale si ritorce contro tutti gli italiani. Da noi si lavora 40 anni ma nei primi dieci, spesso, si lavora con discontinuità o in nero. Non si pagano i contributi ai giovani. Del resto è impossibile lavorare in nero senza un’azienda che te lo consente. Poi c’è da considerare che l’orario di lavoro è più alto in Italia rispetto agli altri Paesi”.

Una delle tante diversità tra i sistemi in vigore in Europa…
“Come la disparità fiscale. Sarebbe un vantaggio per tutti se si riuscisse a realizzare un unico sistema europeo abolendo i privilegi di alcuni Paesi che praticano tassazioni di favore alle imprese”.

Autostrade è il caso più clamoroso. Con Cassa Depositi e Prestiti torna lo Stato padrone. Che effetto le fa?
“Premetto che in Autostrade la partecipazione pubblica non sarà maggioritaria e la società sarà quotata. E` un fatto che gran parte delle grandi imprese italiane hanno una partecipazione pubblica. Non ci vedo particolari motivi di scandalo, anzi mi va bene. Non mi spaventa uno Stato che torni ad occuparsi direttamente delle aziende strategiche per il sistema economico italiano. Uno Stato capace di farsi imprenditore è ciò di cui oggi abbiamo bisogno. Del resto non mi pare che aver seguito la filosofia del liberismo totale, del lasciare fare al mercato senza intervenire, abbia sortito grandi risultati. E poi non può essere normale che durante le crisi le aziende chiedano garanzie alla mano pubblica e, superata la crisi, rivendichino il loro diritto a decidere autonomamente le strategie aziendali. Penso che gli aiuti pubblici debbano comportare, come contropartita, anche un ruolo di indirizzo dello Stato. Questa si chiama nuova politica industriale”.
Intervista di Paolo Griseri su ‘La Stampa’ edizione 23.07.2020

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