Accolta con un caloroso applauso, il Segretario Generale della CGIL Susanna Camusso, si presentata alla Facolt di Scienze Politiche dell?Universit degli Studi di Cagliari per parlare di precariet di fronte ad un’ampia platea.Precariet , un termine diventato familiare, un fenomeno che coinvolge non pi soltanto i giovani (circa il 55,60% degli occupati con meno di 24 anni precario), ma anche gli adulti (circa il 38% degli occupati dai 25 ai 44 anni precario). Secondo dati Istat del 2010 i precari sarebbero circa 4 milioni. In genere, sono abituati a passare da una mansione all’altra e da un settore all’altro e, in questo modo, riescono ad acquisire una miriade di competenze solo frammentarie, che non gli consentono di ottenere una vera e propria padronanza di un mestiere. Non riescono a fare progetti per il futuro (come ad esempio, comprarsi una casa o fare dei figli), perch sono costretti a vivere in una situazione di ?eterno presente?. Inoltre, nei periodi in cui non trovano lavoro, l’unico vero assistenzialismo che gli viene garantito quello proveniente dalle loro famiglie di origine.Un’altra vita possibile? ?Un’altra vita assolutamente possibile, anzi doverosa?,ÿÿsempreÿCamusso che parla, che illustra quali potrebbero essere le soluzioni vincenti, per migliorare la condizione dei precari:Passare da un modello di crescita basato sulla finanza ad un modello di crescita basato sul lavoro. Da quando, si iniziato a investire sempre di pi in finanza e sempre meno sul lavoro, l’economia mondiale ha subito un devastante crollo, determinando la terribile crisi che tutti noi conosciamo. Investire nel mondo finanziario, non crea nuovi posti di lavoro, ma genera profitti solo per pochi addetti al settore (quali ad esempio: banche, holding immobiliari e assicurazioni).INVESTIRE SUL LAVORO E NON SULLA FINANZAInvestire sul lavoro pu essere, invece, la chiave vincente per uscire dalla crisi, soprattutto se si utilizza la risorsa intellettuale pi preziosa che abbiamo: i giovani – continua la Camusso. Questi, infatti col loro ingegno e la loro creativit , potrebbero contribuire ad aumentare la competitivit del nostro Made in Italy, creando un valore aggiunto sia per le imprese che operano nei settori tradizionali, sia per quelle che operano nei settori tecnologici pi avanzati.Creare un collegamento tra sistema d’istruzione e mercato del lavoro.E’ molto frequente che in Italia, un giovane laureato e con uno o pi master in tasca, quando bussa alle porte delle aziende, si sente dire che non abbastanza formato, perch non ha mai lavorato in vita sua e, dunque, l’unica opportunit che gli viene offerta quella di uno stage gratuito. Ma allora, che senso ha, che i nostri ragazzi spendano tutti quegli anni, piegati sui libri? Evidentemente, esiste uno scollegamento totale tra sistema d’istruzione e mondo del lavoro. La formazione lavorativa andrebbe effettuata prevalentemente all’interno del sistema scolastico ed universitario e ci potrebbe avvenire grazie ad una maggiore comunicazione e sinergia con il tessuto economico del Paese (ossia imprese, pubblica amministrazione, associazioni di categoria, ecc.).RIFORMA DEL LAVORO LIMITATA Purtroppo la Riforma del Lavoro, attuata da questo nuovo Governo, non ha esteso gli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori, causando una indiscutibile frattura sociale tra lavoratori tutelati e non tutelati. Il caso eclatante rappresentato da tutti coloro che vengono assunti tramite contratto a progetto e che, per questo, non hanno la possibilit di percepire l’indennit di disoccupazione ordinaria, una volta raggiunti i termini di scadenza contrattuale. Per ovviare a questa smisurata ingiustizia sociale, il Governo dovrebbe mettere a disposizione maggiori risorse, garantendo, cos, un accesso al walfare uguale per tutti.Promuovere nuovi metodi organizzativi di impresa. Un tempo le imprese (soprattutto le grandi fabbriche del settore industriale) organizzavano i propri processi produttivi, in base a dei metodi funzionali ben congeniati; basti pensare al Fordismo o al Toyotismo. Oggi, invece, buona parte delle nostre aziende non ha pi un metodo organizzativo col quale confrontarsi e, adotta la politica della flessibilit del lavoro, al solo scopo di minimizzare i costi. Ma, in questo modo, la qualit dei beni o servizi offerti, potrebbe diminuire, se le proprie risorse umane sono precarie e non tutelate.Pensiamo ad esempio al feedback psicologico negativo che si pu creare tra lavoratore precario e datore di lavoro. Il datore di lavoro non incentivato a investire nella formazione di quel dipendente, perch tanto sa che rester in azienda per pochi mesi e dunque gli attribuir solo le mansioni pi umili e dequalificanti. Dal canto suo, il dipendente precario, assumer un atteggiamento remissivo e poco propositivo, perch spera che, abbassando la testa, possa essere riassunto. Di sicuro, questo tipo di flessibilit non migliora le performance delle risorse umane di un’azienda e di conseguenza nemmeno la sua competitivit sui mercati mondiali. da ilmediterraneo.it
24 3 minuti di lettura