Pio La Torre: fermare la mafia, fermare la guerra La mafia lo ha ammazzato 40 anni fa

Di Ilaria Romeo.- Il 4 aprile 1982 il segretario regionale del Pci siciliano sfilava a Comiso contro la guerra e per la pace. Fu una delle sue ultime battaglie, insieme a quella che aveva combattuto per tutta la vita contro la mafia. Un’esistenza interrotta proprio dalla violenza mafiosa il 30 aprile di quell’anno, mentre ci si preparava a festeggiare il Primo Maggio

Il 30 aprile del 1982 ci si prepara a festeggiare il Primo Maggio. Alle 9 e 20 del mattino il segretario regionale del Pci siciliano, Pio La Torre, è in auto diretto verso la sede del Partito. Alla guida della Fiat 131 c’è il compagno Rosario Di Salvo. All’improvviso li avvicina una moto. L’auto viene crivellata da raffiche di proiettili. La Torre muore subito. Rosario di Salvo ha il tempo di estrarre la pistola e sparare cinque colpi prima di perdere la vita. Ammazzato dalla mafia, contro la violenza mafiosa Pio La Torre aveva forgiato sin dagli esordi la sua militanza sindacale e politica.

“Nel 1947 – ricordava Emanuele Macaluso in una delle sue ultime interviste – io divenni segretario generale della Cgil Sicilia. La Torre lavorava invece al Partito, a Bisacquino. Qui, durante l’occupazione delle terre, ci fu uno scontro con la polizia. Pio venne arrestato insieme a un gruppo di contadini perché un commissario, testimoniando il falso, sostenne che lui gli aveva un colpo di legno in testa. Per un periodo (…) io feci a Palermo sia il segretario della Camera del lavoro che il segretario regionale. Pio La Torre mi sostituì prima alla guida della Camera del lavoro e poi, nel 1956, quando andai al Pci, alla Segreteria regionale della Cgil”.

“Nel 1967 – proseguiva Macaluso – alle regionali, i comunisti subiscono una flessione: il gruppo dirigente viene messo sotto accusa e La Torre è costretto a dimettersi. Fu sfiduciato dal Comitato regionale perché aveva perso solo due punti. Io e Bufalini andammo anche in Sicilia, ma il Comitato fu irremovibile nel volerlo sostituire. A quel punto Longo mi impose di ritornare a Palermo, dove restai per qualche anno. Pio La Torre fece il segretario della Federazione comunista provinciale e poi andò a Roma. Nel 1969 divenne vice responsabile della commissione agraria del Pci e nel 1972 – anno in cui entrò in Parlamento – passò alla commissione meridionale. Nel 1976 prese infine il mio posto di responsabile della commissione agraria. Fu lui a voler assolutamente tornare in Sicilia perché, a ragione, considerava un’ingiustizia il fatto di aver dovuto abbandonare l’isola. Chiese così a me e a Bufalini di convincere Berlinguer (del quale era diventato uno dei collaboratori più stretti) a lasciarlo andare”.

Nel 1969, quindi, Pio La Torre si trasferisce a Roma per prendere la direzione della Commissione agraria prima, di quella meridionale poi (Enrico Berlinguer, apprezzandone le doti, lo farà entrare nella Segreteria del Partito). Nel 1972 viene eletto deputato alla Camera nel collegio Sicilia occidentale, e da subito in Parlamento si occupa di agricoltura. Diceva: “Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto e i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. Rieletto alla Camera nel 1976, è componente della Commissione Parlamentare Antimafia fino alla conclusione dei suoi lavori.

 

Nello stesso anno è tra i redattori della relazione di minoranza della Commissione antimafia, che accusava duramente Giovanni Gioia, Vito Ciancimino, Salvo Lima e altri uomini politici di avere rapporti con Cosa Nostra e nel 1980 propone una legge che introduce il reato di associazione di tipo mafioso (alla domanda “Generale, perché fu ucciso il comunista Pio La Torre?”, il 10 agosto 1982, nell’ultima intervista prima della sua uccisione rilasciata al giornalista Giorgio Bocca, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, da poco nominato prefetto di Palermo, rispondeva: “Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge”). da collettiva.it

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