Alla Cgil il coordinamento generale della Rete sindacale migranti del Mediterraneo e Africa sub-sahariana (Rsmms)

La nomina della Confederazione ha avuto il consenso delle 30 organizzazioni (di 16 Stati) che compongono la Rete sindacale migranti del Mediterraneo e Africa sub-sahariana. Il primo compito sarà definire il documento di strategia e il programma operativo dei prossimi due anni

Sabato 5 febbraio si è realizzata, in modalità on line, la sesta Assemblea della Rete sindacale migranti del Mediterraneo e Africa sub-sahariana (Rsmms). La rete rappresenta un’esperienza originale di coordinamento tra sindacati di tre regioni coinvolte dal flusso migratorio che ruota attorno al bacino del Mediterraneo e all’Africa Occidentale.
Nata da una intuizione dell’Ugtt, nel corso della prima decade del 2000, ma sviluppatasi nella decade successiva, quando con le rivolte popolari nella regione araba si è avviata una nuova stagione di scambio e di confronto tra sindacati, individuando nella migrazione un terreno di cooperazione e di coordinamento inter-regionale.
La Cgil, con il prezioso contributo di tutto il sistema confederale, svolse un ruolo molto importante, ospitando e organizzando incontri in Italia e nella sponda Sud del Mediterraneo, affiancando il sindacato tunisino, fino ad arrivare alla riunione di Casablanca, nel 2014, dove alla presenza dei sindacati del Nord Africa, dell’Africa Occidentale e della sponda Nord del Mediterraneo, si accordò la costituzione della Rete.
Un percorso che ha contato sul sostegno e la cooperazione della Fondazione Friedrich Ebert, che ha reso possibile la realizzazione di un programma di formazione sindacale per dirigenti dei sindacati africani, la creazione di coordinamenti nazionali in materia di migrazione in Senegal, Costa d’Avorio, Mali, Niger, nonché seminari, conferenze e visite a esperienze sindacali in Italia, Francia e Spagna.
La Rete oggi è composta da 30 centrali sindacali di 16 Stati: Algeria, Belgio, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Francia, Italia, Mali, Marocco, Mauritania, Niger, Portogallo, Senegal, Spagna, Togo e Tunisia. Per l’Italia, oltre alla Cgil, aderisce la Uil. La rete ha un comitato di coordinamento, con una segreteria generale e due rappresentanti per ogni sub-regione.
Nell’assemblea di sabato 5 febbraio si è provveduto al rinnovo dei rappresentanti del coordinamento. Il coordinamento generale è passato alla Cgil, che prende il testimone dalla Ugtt che ha detenuto l’incarico dal 2014. La nomina della Cgil ha avuto il consenso di tutte le centrali sindacali presenti, riconoscendone l’impegno e l’esperienza maturata nel corso degli anni a favore dei diritti dei migranti, a livello sia nazionale sia internazionale.
In particolare, la presenza e il radicamento dell’Inca in Tunisia, Senegal e Marocco, i progetti di cooperazione coordinati con Nexus in NIger, l’esperienza del sindacato di strada avviata in Senegal in collaborazione con la Flai, il lavoro di rete in ambito europeo e internazionale, le iniziative promosse all’interno del Festival Sabir, e altre ancora, hanno determinato le basi per l’affidamento di questo importante incarico.
Oltre alla Cgil, come coordinamento generale, il nuovo comitato eletto, è ora composto da Ugtci (Costa d’Avorio), Ustn (Niger), Umt (Marocco), Ugtt (Tunisia), Cc.Oo (Spagna) e Cgt (Francia). Il primo compito del comitato sarà quello di raccogliere, entro la fine di febbraio, i contributi delle centrali sindacali per la definizione del documento di strategia e del programma operativo che vedrà impegnata la Rete nei prossimi due anni. Per la Cgil sarà una nuova sfida che si vuole affrontare con il coinvolgimento e i contributi delle categorie, delle sedi territoriali e dei servizi.

Sergio Bassoli, Area Politiche europee e internazionali
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Migranti: in 3 anni 42% in meno,ma 7 su 10 in centri straordinari  Rapporto ActionAid-Openpolis, non esiste alcuna emergenza
Nel 2021 gli sbarchi di migranti sono aumentati rispetto all’anno precedente, ma si attestano sempre a livelli molto bassi, simili a quelli del 2011. Tra 2018 e 2020 le persone accolte diminuiscono del 42%. Si sarebbe potuto approfittare del dimezzamento di sbarchi e ospiti per andare verso un sistema ordinario e pubblico, ma ciò non è avvenuto e 7 persone su 10 sono ancora accolte nel sistema straordinario, nonostante non ci sia alcuna emergenza.  È quanto emerge dai dati di tre anni, dal 2018 al 2020, raccolti da ActionAid e Openpolis nel rapporto Centri d’Italia 2021 e resi per la prima volta consultabili e scaricabili dalla piattaforma di monitoraggio centriditalia.it. L’analisi evidenzia che i centri di piccole dimensioni sono quelli ad essere stati più penalizzati, avendo perso quasi 22mila posti in due anni. I centri grandi, al contrario, sono diventati ancora più grandi. In media hanno 110 posti a disposizione. Nel 2018 erano 98. Con la diminuzione degli arrivi, viene sostenuto, si sarebbe potuto puntare sull’accoglienza diffusa, più virtuosa ed efficace. Ma, dati alla mano, ciò non è avvenuto; Nel 2020 i rifugiati e richiedenti asilo in accoglienza rappresentano solo lo 0,13% della popolazione italiana. Nel 2018 i comuni interessati da centri di accoglienza erano il 38,5% del totale. Nel 2020 solo il 25%. Aumenta la centralità delle città più grandi. Le 16 più popolose ospitano il 18,2% delle persone, 2 anni prima questa percentuale era al 14,2%. In media i centri a Roma e Milano sono molto più grandi che nel resto del paese. A Milano la capienza media dei centri è circa 10 volte la media nazionale. Nei centri prefettizi il prezzo procapite al giorno per ogni ospite passa da ca. 35 euro a ca. 26 euro, con ricadute in termini di qualità ed efficacia dei servizi offerti. “Con un calo delle presenze di queste proporzioni, si sarebbe potuto incentivare con facilità – spiegano Fabrizio Coresi, Programme Expert on migration e Cristiano Maugeri Programme developer di ActionAid – l’accoglienza diffusa delle persone in piccoli centri. Un risultato positivo che invece si è evitato a causa di una scelta politica insita nel Decreto Sicurezza: destrutturare il sistema pubblico di accoglienza diffusa, incentivare l’approccio emergenziale e i centri straordinari e tagliare i servizi per l’integrazione, lasciando che le persone prive di mezzi scivolino verso una condizione di soggiorno irregolare e di estrema marginalità sociale”. (ANSA).

 

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