Landini, monito a Draghi: niente sanzioni ai lavoratori

“Serve il Green Pass, ma fabbriche e uffici sono in sicurezza, inaccettabile punire i dipendenti che non hanno la certificazione ”
«Sia chiaro, il sindacato sta invitando tutti i lavoratori a vaccinarsi e non abbiamo nulla di principio contro il Green Pass, ma in nome di ciò non è accettabile introdurre una logica punitiva e sanzionatoria nei confronti di chi lavora». Maurizio Landini, segretario generale della Cgil ce l’ha con le multe previste per il personale scolastico che si presenti al lavoro privo di Green Pass e anche con la norma dell’ultimo decreto del governo che finisce per trattare le mense aziendali allo stesso modo dei ristoranti. «Mi domando – aggiunge – se chi ha deciso questa regola sia stato negli ultimi tempi dentro una mensa aziendale. Beh, dovrebbe andarci».

Perché lo dice?
«Perché dopo i protocolli sulla sicurezza che abbiamo sottoscritto attraverso il distanziamento, l`uso delle mascherine, la sanificazione, lo smart working e diversi turni di lavoro, i luoghi di lavoro sono sicuri. Nessuno può sostenere che gli uffici o le fabbriche costituiscano oggi potenziali focolai per la diffusione del virus. Non deve passare il messaggio sbagliato che i vaccini ed il Green Pass, pur fondamentali, da soli siano sufficienti a sconfiggere il virus. Non è così, purtroppo».

Nessuno ha proposto o sta proponendo di abbassare la guardia.
«Il rischio che vedo è quello. Guardi il caso delle mense aziendali: il governo dice di volerle regolare al pari delle attività di ristorazione. Ma le mense aziendali hanno i turni, il plexiglass, la sanificazione periodica. Non sono un ristorante ma un servizio per chi lavora. Se il governo pensa che il vaccino debba essere obbligatorio, lo dica e approvi una legge. Abbiano il coraggio di farlo! Non si può pensare di raggiungere il medesimo obiettivo in maniera surrettizia, a danno di chi lavora. È una forzatura controproducente rispetto all’obiettivo di realizzare la vaccinazione per tutti».

Perché?
«Pensi solo ai tamponi: con il Green Pass obbligatorio diventano un requisito per poter lavorare al pari della vaccinazione. Il loro costo non può essere a carico del lavoratore. Si lavora per essere retribuiti, non si deve pagare per lavorare. Stiamo passando da una fase in cui chi lavorava, esponendosi anche al contagio, veniva considerato un eroe ad un’altra in cui si rischia di essere sanzionati perché si vuole lavorare».

Veramente perché si mette a rischio la salute degli altri…
«Noi proponiamo una grande campagna di informazione e sensibilizzazione perché le persone si vaccinino. Da tempo chiediamo di rafforzare e mettere in sicurezza il trasporto pubblico locale, le ferrovie regionali, di superare il sovraffollamento delle classi anche attraverso nuove assunzioni di personale docente. Invece rischia di rimanere tutto fermo allo scorso anno».

Lei è vaccinato ed è favorevole ai vaccini, perché non propone che sia obbligatorio vaccinarsi? Non rischia altrimenti di poter essere accostato alle posizioni no vax della destra politica? «Guardi, se c’è un soggetto che si è battuto per i vaccini e che ancora continua a fare campagna per la vaccinazione gratuita di massa in Italia e nel mondo siamo noi del sindacato. Quel che sto cercando di dire è che insieme al Green Pass e alle vaccinazioni servono altri interventi strutturali per risolvere una volta per tutte il problema del coronavirus. Non possiamo abbassare la guardia».

Ma senza il Green Pass in azienda non si rischia di compromettere la ripresa dell`economia e con questo il recupero dei posti di lavoro persi a causa della pandemia?
«È il lavoro che ha tenuto in piedi questo Paese nei momenti più difficili della pandemia. Ora è inaccettabile che si scarichi sul lavoro, con sanzioni e punizioni, responsabilità che – ripeto – non ha».

Si riferisce alle sanzioni previste per il personale scolastico? Sembra una difesa corporativa. «Stiamo parlando di un settore nel quale è già vaccinato oltre il 90 per cento e nel quale quella percentuale è destinata a crescere ancora».

Il lavoro – ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi – sarà il tema centrale della ripresa dell`attività politico-parlamentare. La creazione di nuovi posti di lavoro ma anche la sicurezza nei posti di lavoro. Si aspettava questa mossa del presidente?
«Sicuramente è il lavoro al centro di questa fase. Il punto è quale ripresa economica e quale lavoro vogliamo creare. Vogliamo cambiare o no il modello degli ultimi vent’anni, con il lavoro precario, di scarsa qualità, senza diritti e con una crescita in realtà assai stentata? Abbiamo di fronte un’occasione senza precedenti grazie alla disponibilità di risorse del Next Generation Eu. Dobbiamo usarle anche per incentivare ulteriori investimenti pubblici e privati per creare un nuovo modello sociale e produttivo, puntando sulla ricerca e sulla formazione permanente delle persone».

È quello che prevede il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
«Non è così perché in quel Piano il limite più evidente è la mancanza di un collegamento tra investimenti e un’idea di nuova politica industriale e di sviluppo. Quegli investimenti devono servire a cambiare la nostra specializzazione produttiva. L’Italia deve puntare a costruire nuove filiere produttive capaci di stare dentro le transizioni digitali e ambientali e lo deve fare coinvolgendo il mondo del lavoro. C`è bisogno di una nuova democrazia economica, dobbiamo lasciarci alle spalle questi anni nei quali il lavoro è stato relegato a un ruolo di subalternità».

Oggi (09.08) incontrerete il ministro del Lavoro Orlando sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Cosa chiedete al governo?
«Che la riforma vada nella direzione di un sistema universalistico di ammortizzatori sociali. Vuol dire che tutti i settori, indipendentemente dalle dimensioni delle imprese, devono contribuire al finanziamento degli ammortizzatori sociali. In altri termini ciò vuol dire che gli attuali istituti, dai contratti di solidarietà alla cassa integrazione ordinaria, a quella straordinaria, alla Naspi devono essere a disposizione di tutti coloro che lavorano. Un sistema di questo tipo dovrà essere la base per accompagnare nei prossimi nei cinque, dieci anni la riconversione ambientale e produttiva. Ma chiediamo anche una legislazione che impedisca i comportamenti da Far West assunti negli ultimi tempi da multinazionali che hanno preso e soldi e poi se ne sono andate. Non deve essere più possibile che si possa licenziare dalla sera alla mattina perché le imprese decidono di chiudere le fabbriche per andare a produrre dove è più conveniente».

Fa parte delle regole del mercato e della libertà di iniziativa economica.
«No. Occorre mettere vincoli sociali ad un mercato divenuto selvaggio. Credo sia arrivato il momento di parlare seriamente di responsabilità sociale delle imprese, proprio come stabilisce anche la nostra Costituzione».

di Roberto Mania da la Repubblica
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