Confindustria, a casa i non vaccinati. Landini, ‘’Spero sia il caldo’’

Green Pass obbligatorio nei luoghi di lavoro? L’idea non convince Maurizio Landini. Il segretario della Cgil la considera «una forzatura». A Confindustria e al governo il maggiore sindacato italiano chiede invece certezze sul rispetto del patto contro i licenziamenti. E propone un accordo in cui governo, imprese e sindacati concordino le scelte più rilevanti per la riconversione ecologica del sistema industriale italiano e la difesa dell’occupazione. Sullo sfondo «un sistema di codeterminazione sulle scelte organizzative e gli investimenti capace anche di prevenire i conflitti nelle imprese».

Landini, Confindustria propone di vietare l`ingresso in azienda ai non vaccinati e di sospenderli dallo stipendio. Che cosa ne pensa?
«Spero che sia il caldo».
Non è d`accordo?
«In questo anno di pandemia i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce».
Ma la proposta di Confindusria è che sia il governo a stabilire l`obbligo
«Certamente una scelta di questo tipo la può compiere solo il governo. I lavoratori sono stati i primi, durante la pandemia, a chiedere sicurezza arrivando addirittura allo sciopero per ottenerla. Io mi sono vaccinato e sono perché tutti si vaccinino. Ma qui, diciamolo, siamo di fronte a una forzatura. Non va mai dimenticato che i lavoratori sono cittadini e hanno i diritti e i doveri di tutti i cittadini. Confindustria, piuttosto, si preoccupi di far rispettare gli accordi contro i licenziamenti». L`intesa con governo e imprese contro il taglio degli organici non sembra funzionare bene. Pochi giorni dopo lo sblocco ci sono stati migliaia di licenziamenti…
«Premettiamo che l’accordo è stato realizzato dopo che i partiti della maggioranza di governo, tutti i partiti della maggioranza, avevano detto sì allo sblocco lasciando solo qualche eccezione di settore. Siamo riusciti ad impegnare governo e associazioni imprenditoriali a ricorrere prima agli ammortizzatori sociali».
Perché non ha funzionato?
«Ora stiamo chiedendo di far applicare quell’accordo ad alcune multinazionali che ragionano con una logica da Far West. Sono in corso scioperi e mobilitazioni territoriali. Molte altre imprese lo stanno applicando».
Si è detto che alcuni dei licenziamenti collettivi che hanno creato polemiche si sarebbero potuti fare anche durante il blocco. Come risponde?
«Rispondo che non è esatto. Certo, il licenziamento che segue alla cessazione di attività di un’impresa era possibile anche prima. Ma qui siamo di fronte ad aziende che chiudono lo stabilimento italiano e proseguono la produzione altrove. In alcuni casi rifiutandosi, com’è accaduto nei giorni scorsi, di discutere con il governo e le istituzioni».
Come impedirlo?
«In primo luogo sottolineando che questi sono atteggiamenti che vanno contro le istituzioni italiane. Alle quali spetta il compito di tutelare il lavoro e il nostro tessuto produttivo».
Un blocco?
«Serve una politica industriale che promuova investimenti in Italia e che faccia tornare qui il lavoro precedentemente delocalizzato».
Prima i lavoratori italiani?
«Non è sovranismo. E` mettere al centro il lavoro in Italia. E questo è vero soprattutto oggi, nel cuore di una trasformazione profonda del nostro sistema industriale ed economico. Ci sono nuovi prodotti per un nuovo modo di vivere. Ad esempio gli autobus elettrici, i treni a idrogeno dovremo comperarli all`estero o potremo produrli noi e venderli anche agli altri Paesi?».
Teme anche lei un autunno difficile per il lavoro?
«Lo sarà se non interverremo presto».
Quali le vostre proposte?
«Il primo passaggio va compiuto subito, prima della fine di luglio. Il governo ci convochi presto al tavolo con le imprese per fare applicare l’accordo contro i licenziamenti. Ma questo deve essere solo il primo passo. Il vero punto è come governare la riconversione produttiva che cambierà il Paese nei prossimi 5-10 anni».
Una cabina di regia delle parti sociali?
«Ci sarà una riconversione in senso ambientale. Sarà profonda e avrà bisogno di un confronto preventivo tra aziende e sindacati sulle scelte strategiche in un quadro di nuove politiche industriali pubbliche».
Come in Germania?
Sindacati che cogestiscono in consiglio di amministrazione?
«Non è necessario comperare azioni o sedere in cda. Non abbiamo bisogno di copiare altri. Noi italiani siamo abbastanza creativi, siamo noti per quello».
Se non sarà cogestione che cosa sarà?
«Preferisco chiamarla codeterminazione. Aziende e sindacati si impegnano a consultarsi prima sulle scelte strategiche e a difendere insieme il lavoro e l`occupazione. Una scelta di riconoscimento reciproco».
Questo eviterà il conflitto?
«Questo potrebbe aiutare a prevenirlo. In un momento tanto delicato, con un Paese che esce da un periodo difficilissimo, con una fase di ristrutturazione complessa davanti a noi, la codeterminazione potrebbe essere una strada utile. Un modo per investire sulla partecipazione e sul lavoro di qualità».
Una possibilità per evitare l’autunno caldo?
«Una possibilità, non un obbligo. Nella codeterminazione non c`è l’obbligo a fare gli accordi, altrimenti non sarebbe una trattativa sindacale ma un arbitrato. È una scelta, quella di investire nella partecipazione negoziata delle lavoratrici e dei lavoratori».
Questa strada potrebbe modificare le relazioni industriali nel dopo pandemia?
«Sarebbe una scelta che spinge il nostro sistema economico verso una pari dignità tra lavoro e impresa puntando sulla contrattazione. Un passo importante».

Di Paolo Griseri da lastampa.it

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