Ex-Ilva, sindacati: la sentenza chiude una pagina dolorosa, ma ora non si fermino gli impianti

“Con la sentenza di primo grado emessa oggi dalla Corte d’Assise di Taranto, giunge a conclusione il processo a carico della proprietà, dei manager dell`ex Ilva e di tutti gli altri imputati. Come noto, la Fiom e la Cgil, si sono costituiti come parte civile a sostegno della ricerca di una verità giudiziaria sulle responsabilità di una gestione degli impianti che ha contrapposto le ragioni della salute e della sicurezza a quelle del lavoro e dello sviluppo sostenibile. La sentenza, di cui conosceremo le motivazioni nei prossimi giorni, riconosce che diritti costituzionalmente tutelati come la salute e il lavoro, non possano essere piegati a logiche di puro profitto e chi li rappresenta, come da sempre fanno Fiom e Cgil, nella tutela collettiva ed individuale, sono agenti di una funzione a cui si arreca un `danno immediato e diretto`, nel momento in cui si determina una violazione dolosa di quelle tutele. Adesso occorre evitare che la confisca degli impianti, sia pure non esecutiva nella sentenza di primo grado, non pregiudichi la facoltà d`uso degli stessi e consenta di arrivare ad una rapida conclusione nel processo di transizione degli assetti societari previsti dagli accordi tra Invitalia e ArcelorMittal”.

Lo dichiarano in una nota congiunta Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil e Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia “Sarebbe davvero una beffa insopportabile – proseguono – se, dopo il danno, non diventasse possibile l`approdo ad una produzione ambientalmente sostenibile dell`acciaio nell`impianto di Taranto: condizione indispensabile per la sopravvivenza degli altri siti del gruppo e per le prospettive dell`intera industria manifatturiera italiana”.

“Proprio ora che le risorse del PNRR e del JTF consentono di intravedere una risposta ai problemi che hanno portato alla comunque drammatica sentenza di oggi. Per queste ragioni è indispensabile che il Governo e il Presidente del Consiglio rompano il silenzio e si assumino le responsabilità di dare una prospettiva certa alle produzioni e ai lavoratori dell`intero settore siderurgico” concludono.

“La sentenza di primo grado emessa oggi dalla Corte di Assise del tribunale di Taranto individua precise responsabilità legate al disastro ambientale e alla dolosa mancanza di tutele sanitarie per i cittadini e per chi ha lavorato nel polo siderurgico della città. Si tratta di una pagina negativa del modo di fare industria che ha contrastato non solo con il bene comune e gli interessi della collettività, ma addirittura con il rispetto delle norme sanitarie e di legge”. Lo dichiara il leader della Fim-Cisl, Roberto Benaglia.

“Crediamo come sindacato che a maggior ragione oggi serva ricostruire nella trasparenza un patto nuovo tra azienda, lavoro e città, che abbia la priorità di rendere completamente sostenibili sul piano ambientale e sanitario le produzioni e finalizzi a tale obiettivo ogni investimento pubblico e privato.

– aggiunge – a tal fine vediamo con forte preoccupazione la confisca degli impianti disposta dalla magistratura. Le colpe del passato non devono ricadere sul futuro di Acciaierie d’Italia e del lavoro del polo siderurgico. Lanciamo un ulteriore forte allarme: tenere tante spade di Damocle sulla testa del polo siderurgico non aiuta a risolvere i nodi critici da cui passa la necessità di produrre acciaio verde nel prossimo futuro, non ci arrendiamo al fatto che lavoro e ambiente possono coesistere e avere un futuro anche a Taranto”.

“Questa sentenza con pesanti condanne penali deve rappresentare la fine di un`epoca, fatta di inquinamento, di conflitto tra salute e lavoro, tra cittadini e lavoratori”. Lo dichiara Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, secondo cui “deve essere quindi l`inizio di una nuova fase con una forte accelerazione della transizione ecologica e una produzione ecosostenibile che riporti un equilibrio tra fabbrica e città. Oggi è stato stabilito, ancora una volta, che uno stabilimento così grande e importante per l`intero Paese non può essere lasciato in mani private senza alcun controllo da parte dello Stato che, al contrario, deve garantire contemporaneamente il rispetto della salute e il lavoro”.

Palombella sottolinea che “dopo questa sentenza lo Stato è di fronte a un`unica strada: investimenti corposi, anche grazie ai fondi europei, per anticipare i tempi della transizione ecologica del più grande sito siderurgico europeo, verso una produzione ecosostenibile, abbattendo le emissioni delle fonti inquinanti, salvaguardando l`ambiente, l`occupazione e un asset strategico per il nostro Paese. Non è più rimandabile – aggiunge – un intervento diretto dello Stato nel controllo della maggioranza di Acciaierie d`Italia. Per questo chiediamo al Governo di indicare una direzione chiara, di dirci come immagina il futuro del sito e della città di Taranto, quali progetti concreti vuole mettere in campo e con quali tempistiche. Da Taranto dipende anche il futuro di tutti gli altri stabilimenti del gruppo”.

Dopo nove anni dal sequestro degli impianti “è arrivato il momento delle scelte definitive da parte dello Stato – conclude – non è più il tempo di rimandare decisioni che da troppi anni i lavoratori e i cittadini di Taranto attendono”.
da ildiariodellavoro.it

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Disastro ambientale aIl’Ilva di Taranto, condanne pesanti per i Riva. Tre anni e mezzo a Vendola che accusa: “Mi ribello a giustizia che calpesta la verità”

La sentenza di Ambiente svenduto: venti e ventidue anni agli ex proprietari. L’ex governatore pugliese è accusato di concussione aggravata in concorso. Confisca per gli impianti

La Corte d’Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) nel processo chiamato Ambiente Svenduto sull’inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico. Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Disposta anche la confisca degli impianti, nel frattempo passati prima attraverso una gestione commisariale e poi acquisiti da Arcelor Mittal.

 

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