Anche punizioni corporali a operai: 2 arresti nel pratese per sfruttamento

Sfruttamento sul lavoro e punizioni corporali, in manette marito e moglie nel pratese. Denunciati anche i committenti italiani. L’operazione della guardia di finanza è partita dopo la denuncia della Cgil di Prato, che ha raccolto la testimonianza di tre cittadini africani. Nella pelletteria erano 18 gli operai sfruttati. Per la prima volta accusato di concorso chi affidava il lavoro

Turni massacranti, anche fino a 15 ore, per sei giorni la settimana e, nei confronti un operaio, anche punizioni corporali in tre circostanze: schiaffi e cinghiate sulle mani per la “non perfetta esecuzione delle mansioni affidategli”. E’ quanto emerso da un’indagine della guardia di finanza di Prato, così si spiega in una nota delle fiamme gialle, sulle condizioni lavorative in una pelletteria di Poggio a Caiano. L’azienda, intestata a un prestanome che è stato denunciato, sarebbe stata gestita di fatto da una coppia di coniugi cinesi, ora agli arresti domiciliari in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare. Denunciati anche due imprenditori italiani: per far fronte a contratti di fornitura stipulati “con una nota griffe della moda straniera” avrebbero sub commissionato alla pelletteria orientale la produzione di borse e accessori “così utilizzando la manodopera sfruttata”. L’inchiesta, coordinata dalla procura pratese, è nata dalla denuncia fatta, tramite la Cgil, da tre operai di origine africana: sarebbero stati almeno 18, per lo più cinesi, spiega la Gdf, i lavoratori sfruttati in tempi diversi.
Le indagini, condotte dai finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Prato e alle quali hanno collaborato nella fase finale Asl, Inps e Ispettorato del lavoro, avrebbero portato alla scoperta che gli operai, a fronte dei “turni massacranti fino a 12 ore, con punte di 15”, avevano stipendi mensili di circa 800 euro “corrisposti in modo irregolare, nessuna garanzia in termini di tutele sindacali e in tema di malattia, riposi settimanali, tredicesima e ferie”. I militari avrebbero poi “rilevato l’utilizzo di macchinari non conformi alla normativa sulla sicurezza”. Parte dei lavoratori era inoltre “alloggiata in dormitori funzionali al sito di produzione, caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie carenti e da sovraffollamento”. Quanto alle punizioni corporali sarebbero state inflitte a uno degli operai di origine africana, in almeno tre circostanze, dalla donna arrestata. La coppia orientale, tra l’altro inquadrata come dipendente, avrebbe anche “operato precedentemente, in una sorta di continuità aziendale, attraverso altre imprese dislocate nel medesimo immobile, una subentrata all’altra con nuova denominazione e partita Iva, al fine di sottrarsi ai controlli delle istituzioni ed ai debiti maturati con l’erario”. Riguardo ai due imprenditori italiani la denuncia è scattata perchè per gli inquirenti sarebbero stati “consapevoli”, dello “sfruttamento cui i lavoratori venivano sottoposti”. Eseguito anche un sequestro preventivo di beni – tra cui denari, una villa e un terreno – finalizzato alla confisca del profitto del reato di evasione fiscale, per un importo complessivo pari a 902 mila euro, corrispondente al totale delle imposte sottratte all’erario. (ANSA).
===================
Sfruttamento sul lavoro, l’accusa della Cgil: “Procedure troppo farraginose e tempi lunghi, così non funziona”. Il segretario della Filctem Cgil Prato Massimiliano Brezzo ricostruisce la trafila dopo la denuncia con troppi passaggi burocratici: “E’ un percorso che il lavoratore sfruttato e disperato che arriva da noi non può comprendere”

(fonte: notiziediprato.it)

Salire su un barcone, affrontare i durissimi e infiniti giorni di traversata, subire le violenze degli scafisti, patire la fame e la sete e magari veder morire qualche compagno di viaggio: sono tutti uguali i racconti dei disperati che sfidano il destino africano sperando di vincere un futuro migliore.
Peccato che il premio, quando va bene, sia un posto di lavoro come operaio sfruttato e, se va male, come spacciatore di droga in attesa che arrivi al traguardo la richiesta d’asilo.
Gli ultimi diciotto operai strappati non soltanto allo sfruttamento sul lavoro ma anche agli schiaffi e alle cinghiate dei loro titolari, lavoravano per 800 euro al mese, 12-15 ore al giorno per sei giorni alla settimana, in una pelletteria di proprietà di imprenditori cinesi a cui il lavoro arrivava da imprenditori italiani a loro volta fornitori di una importante griffe internazionale. Non magliette da buttare sui banchi del mercato a due euro, dunque, ma oggetti di lusso a prezzi da capogiro.
“Uno di loro è venuto da noi a ottobre del 2019 – ricorda Massimiliano Brezzo, segretario Filctem – Cgil Prato – ha denunciato la condizione di sfruttamento a cui era sottoposto già da due anni, e ora, a metà del 2021, arriva il risultato della segnalazione inoltrata alla guardia di finanza”. Non è un sindacalista fissato con le date, Brezzo, ma sono le date a spiegare meglio di tutto quanto sia complicato instaurare un percorso virtuoso utile a convincere gli operai sfruttati che ribellarsi ai ‘padroni’ è l’unico modo per salvarsi e afferrare quel futuro migliore tanto desiderato.
“Tutte le settimane partono almeno due segnalazioni – spiega Brezzo – sappiamo cosa chiedere all’operaio che viene alla Cgil e da lì in avanti prende il via il cammino investigativo”. La Filctem sa cosa chiedere, sa quali sono le domande che fanno emergere presunti indici di sfruttamento, sa cosa serve agli inquirenti. La Filctem, insomma, costruisce – se ci sono le condizioni – le ali necessarie a far volare un’indagine. Ma non è tutto facile, non tutto va ‘a dama’ e soprattutto per il traguardo ci vuole tempo. Anni.
La trafila, prendendo come esempio quella denuncia che arriva nelle stanze dell’ispettorato del lavoro, è lunga: gli ispettori valutano se andare a fare un controllo nella ditta e se ci vanno, ci vanno la mattina quando è chiaro che gli operai irregolari vengono fatti lavorare quasi solo e quasi sempre di notte; se succede che l’operaio viene trovato al lavoro, le domande a cui deve rispondere sono quelle che servono a confermare la denuncia. Mica facile rispondere e puntare il dito davanti ai testimoni, specie se i testimoni sono connazionali dei titolari o i titolari stessi, e anche se le conferme arrivano è la famosa ‘parola mia contro la parola tua’, e allora serve che un altro operaio confermi quelle dichiarazioni. Poi tutto tace per lungo tempo e magari succede che dopo un anno e più, il lavoratore che aveva denunciato riceva dall’Inps una lettera che non sa leggere, che non sa collegare a quella segnalazione perché lui conosce solo la Cgil ma non è detto che si rivolga al sindacato dopo tanto tempo, ammesso che dopo tanto tempo abiti ancora a quell’indirizzo.
“E’ una trafila che il lavoratore sfruttato e disperato che arriva da noi non può comprendere – ancora Brezzo – facciamo fatica noi a capire i tempi lunghi della giustizia. Quel lavoratore è una persona che ha bisogno, che non ne può più, che è disperata, che vede il suo orizzonte chiuso nell’obbligo di doversi piegare all’imprenditore perché è l’unico modo per mantenere il permesso di soggiorno e mandare a casa i soldi che servono a campare genitori, fratelli, figli”.
Il sindacato fa tutto quello che può ma, è evidente, non basta: “Da sola la Cgil non può risolvere i problemi – dice Massimiliano Brezzo – abbiamo promosso accordi, protocolli, intese per collaborare, per unire le forze, per mettere insieme tutte le voci del distretto e combattere il mostro dello sfruttamento dietro il quale si nascondono committenti che, gratta gratta, molte volte sono italiani. Serve capire una volta per tutte se c’è la volontà politica di combattere questa guerra. Come dico sempre, le norme ci sono ma non sono adeguatamente e puntualmente applicate e allora occorre chiedersi una volta di più se sia un problema di procedure farraginose, se gli obiettivi non sono quelli giusti o se invece è la volontà politica che manca. Una volta stabilita la risposta giusta, tutto è più facile”.
========
Lavoro: sindaco Poggio a Caiano, bene operazione pelletteria
“Un plauso alla Fiamme Gialle e agli investigatori che hanno permesso di mettere fine a un’inaccettabile situazione di sfruttamento sul nostro territorio. Fa male sapere che anche qui, a pochi passi da noi, qualcuno ha patito ingiustizie simili. Purtroppo nessun luogo è immune da questa piaga, per questo motivo è nostro dovere essere sempre in grado di accogliere la voce delle persone che hanno il coraggio di denunciare e di portare alla luce fatti simili”. Lo afferma il sindaco di Poggio a Caiano (Prato) Francesco Puggelli in merito alla vicenda di sfruttamento della manodopera in una pelletteria del comune, anche infliggendo punizioni corporali a un operaio come emerso dalle indagini delle Fiamme gialle. “Ringraziamo anche il personale della Camera del Lavoro di Prato – ha detto il sindaco – che ha permesso di dare il via agli accertamenti che hanno portato al fermo dell’imprenditrice”. (ANSA).

Pulsante per tornare all'inizio