La trattativa sugli ultimi ostacoli a un’intesa si è di fatto risolta mercoledì sera a cena, con una pizza mangiata al tavolo della discussione, è andata avanti fino a giovedì all’ora di pranzo (a base di sandwich, sempre continuando a parlare) e si è protratta al pomeriggio per definire i complicati dettagli pratici (“pesce per pesce” riferisce una fonte, alludendo a uno dei contenziosi più complessi) e legali, compreso qualche errore di cifre saltato fuori in extremis, in un documento lungo ben duemila pagine. ““Abbiamo mantenuto le promesse, abbiamo fatto la Brexit, abbiamo ripreso il controllo del nostro futuro”, annuncia alla fine trionfante il premier britannico in un discorso televisivo alla nazione da Downing Street, dopo una telefonata con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen che chiude ufficialmente il negoziato. “E credo che questo sia un buon accordo anche per i nostri partner europei, sarà anche nel loro interesse avere una Gran Bretagna contenta e prospera come vicino. noi saremo il vostro alleato, il vostro sostegno e non dimentichiamo il vostro mercato”. Ora resta solo da attendere la ratifica da parte del parlamento di Westminster, prevista per il 30 dicembre, e quella “retroattiva” di Strasburgo, che probabilmente voterà in gennaio. Festeggiando l’aspettativa della notizia, la sterlina ha guadagnato nei cambi sui mercati valutari e le borse sono salite. “Patto storico”, titola il Financial Times. “Halleluyah, Merry Brexmas!” è il titolone del Daily Mail. E “Brexmas”, fusione di Brexit e Christmas, diventa il suggello finale di una storia iniziata esattamente quattro anni e mezzo fa con il voto popolare del referendum, che approvò 52 a 48 per cento l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Non basterà a risollevare l’umore di una nazione afflitta dal Covid, che ieri ha avuto un record di oltre 39 mila casi e 744 vittime, il numero più alto da aprile. Ma è la prima buona notizia che il premier britannico può offrire al Paese dopo un terribile anno di governo e una settimana da incubo tra variante aggressiva del Coronavirus, sospensione dei voli aerei da più di 40 paesi e chiusura della frontiera a Dover con 10 mila camion bloccati.
Il negoziato cominciato nove mesi fa si è concluso dunque quando il conto alla rovescia era arrivato a meno otto giorni dalla scadenza ultima, il 31 dicembre, fine della fase di transizione in cui non è cambiato niente. La Brexit, infatti, è diventata formalmente realtà già nel gennaio scorso, con l’accordo sul “divorzio” del Regno Unito dalla Ue approvato dalle due parti l’autunno precedente. Quello concluso stamane regola invece le future relazioni fra Londra e Bruxelles, approvando un patto di libero commercio che evita di pagare dazi sulle merci: in sostanza si tratta di un’intesa sulla fase post-Brexit che inizia il primo gennaio 2021. L’accordo copre anche la cooperazione scientifica, culturale e nel campo della sicurezza. Ma con la Brexit cambiano lo stesso molte cose, dal settore dei servizi, in particolare quelli finanziari della City, che non avranno più accesso diretto al continente, alla fine della libertà di movimento ossia della possibilità di venire a vivere e lavorare liberamente in Gran Bretagna, e viceversa per i lavoratori britannici nei 27 paesi della Ue.
Dopo innumerevoli rinvii, ultimatum e minacce da parte di Londra di un “no deal”, un’uscita dalla Ue senza accordi di alcun tipo, la trattativa ha avuto un’accelerazione dalla settimana scorsa, anche grazie a un continuo contatto telefonico fra Johnson e von der Leyen, che hanno elevato il dialogo dal livello dei tecnici a quello dei leader. Alle ore 23 di mercoledì Johnson ha fatto rapporto ai propri ministri dicendo che in pratica era fatta e chiedendo il loro aiuto per “vendere” l’intesa all’opinione pubblica: segno che si aspetta critiche dagli ultra brexitiani di avere ceduto troppo. Diritti di pesca, norme sulla concorrenza e arbitrato di eventuali violazioni erano gli ultimi ostacoli, risolti con concessioni reciproche. Già iniziato il gioco per stabilire chi ha ceduto di più: il sito Guido Fawkes, pro-Brexit e ultraconservatore, pubblica una pagella che attribuisce al governo secondo cui Londra ha vinto nel 40 per cento delle questioni, Bruxelles nel 17 e nel restante 40 per cento circa si è arrivati a un equo compromesso.
I brexitiani duri e puri si preparano ad accusare Downing Street di avere calato le braghe, lui passa la giornata al telefono con loro per rassicurarli del contrario. “Mi pare che abbiamo mollato la palla prima di segnare la meta” è il primo commento di Nigel Farage, l’ex-leader del Brexit Party. Ma in un’intervista radiofonica sempre Farage poi afferma: “L’accordo non sarà perfetto ma la guerra è finita”. L’impressione è che, esattamente come nel negoziato di fine 2019 sul “divorzio” da Bruxelles, Boris Johnson abbia prima bleffato e poi sia venuto a miti consigli: le carte più forti le aveva in mano la Ue, perché il danno economico maggiore, in caso di “no deal”, sarebbe stato per il Regno Unito. Come è logico; quando si tratta di 27 paesi contro uno, è chiaro chi sia il più debole. Ma come in tutti compromessi, anche l’Europa unita ha dovuto cedere qualcosa. Resta il fatto che in genere i negoziati commerciali necessitano da cinque a dieci anni per produrre un accordo: questa volta sono bastati nove mesi. Dopo una così rapida gravidanza, il parto di un bambinello di nome Brexit, alla vigilia di Natale, merita un applauso, segnando la vittoria della diplomazia e della politica sulle peggiori intenzioni degli estremisti.
Nel finale del negoziato ha pesato un altro fattore: la crisi del Covid, in particolare l’emergere di una nuova variante in Inghilterra. Proprio ieri il governo britannico ha annunciato l’estensione del lockdown a nuove regioni per altri 6 milioni di persone a partire dal 26 dicembre: praticamente tutta la nazione è sottoposta a severe restrizioni. “Boris ha cancellato il Natale” era il titolo dei tabloid inglesi qualche giorno fa. Da giorni tutti criticavano il premier, compreso il suo stesso partito e la stampa di destra, per una politica contro il Coronavirus piena di errori e contraddizioni. Downing Street aveva disperatamente bisogno di una buona novella da mettere sotto l’albero di Natale e ora l’ha avuta. La Brexit sarà lo stesso uno shock per questo paese. Portare a casa l’accordo con la Ue non è stato esattamente facile come avere “la botte piena e la moglie ubriaca”, secondo l’ottimistica espressione usata da Boris Johnson nella campagna per il referendum. Ma la telenovela cominciata con il voto del giugno 2016 si conclude cercando di limitare i danni, costruendo una piattaforma su cui sarà possibile rafforzare futuri legami e permettendo a tutti, a Londra come a Bruxelles, di voltare pagina. Patto “storico”, come giustamente commenta il quotidiano della City. Una sorta di lieto fine appropriato al calendario: Brexmas il 24 di dicembre, mentre nell’aria risuonano i campanellini di Jingle Bells e un corpulento signore alla guida di una slitta deposita doni sotto gli abeti. La parte di Babbo Natale, quest’anno, in Inghilterra la recita Boris Johnson.
Enrico Franceschini da repubblica.it