Cgil, salari italiani ancora in arretrato con crisi 2007. Con pandemia, rischio ulteriore peggioramento

Lo studio della Fondazione Di Vittorio mette a confronto le principali sei economie dell’Eurozona
L’Italia è l’unico Paese tra le sei principali economie dell’Eurozona a non aver recuperato il livello salariale pre-crisi, cioè del 2007. È il dato che emerge dal rapporto “La questione salariale in Italia Un confronto con le maggiori economie dell’Eurozona” della Fondazione Di Vittorio della Cgil. In particolare, se confrontata con la Germania – presa come riferimento in quanto maggiore economia dell’Eurozona – i salari “dopo un decennio di sostanziale stagnazione (2000-2009)”, hanno avuto “dinamiche divergenti, pur in presenza di tassi di inflazione ai minimi storici. Infatti, nel successivo periodo (2010-2019), i salari tedeschi crescono di 5.430 euro (pari a un più 14,7%) mentre quelli italiani diminuiscono di -596 euro (pari a un meno 1,9%)”.
Ma non si tratta solo della Germania: il salario lordo annuale medio nei Paesi Bassi e in Belgio si attestava nel 2000 a 44 mila e 43,4 mila euro rispettivamente e ha registrato a fine 2019 una crescita dell’8,8% e del 9,9%. Nello stesso periodo, il salario in Francia, che nel 2000 era di 35,8 mila e 32,2 mila euro, è cresciuto del +18,4% e del +21,4%. Infine, il salario in Italia e Spagna, che nel 2000 era pari a 29,1 mila e 26,8 mila euro, ha segnato nel 2019 un aumento, rispettivamente, del 3,1% e 2,2%.
Se i salari medi individuali italiani sono in stagnazione, la situazione per quello familiare netto risulta essere ancora più allarmante, con una differenza di migliaia di euro tra l’Italia e le maggiori economie dell’eurozona. In particolare, secondo il report della Fondazione “Di Vittorio”, il salario familiare netto italiano vale una quota che oscilla tra il 60 e il 70% di quello tedesco, anche a causa di un sistema di tassazione che in Italia penalizza i salari familiari lordi più bassi.
E non è che in Italia si guadagni meno perché si lavori meno, al contrario. L’Italia – si legge nell’analiasi – ha un alto numero medio di ore lavorate all’anno per dipendente e allo stesso tempo la minor quota salari in percentuale del Pil. Insomma, in Italia si lavora di più, a causa della scarsa capacità tecnologica e ai bassi investimenti in innovazione del nostro sistema economico, ma si viene retribuiti molto meno.

Con la pandemia la situazione dei salari italiani non può che peggiorare, sottolinea il presidente della Fondazione “Di Vittorio” Fulvio Fammoni: “Nel 2020 la pandemia e le conseguenti ricadute produttive ed occupazionali, peggioreranno questo quadro. Nonostante due fondamentali fattori di tutela, dell’occupazione e del salario, che devono essere confermati ed estesi, come il blocco dei licenziamenti e gli ammortizzatori sociali, il dato dell’occupazione peggiorerà, così come la media retributiva”. “Un riequilibrio dei salari italiani è dunque necessario, non solo come risposta concreta ai problemi delle persone ma come elemento essenziale della competitività futura del Paese”, aggiunge Fammoni, ricordando che “può essere affrontato in più modi” a partire da “un intervento sulla quantità ma anche sulla qualità dell’occupazione che arresti il continuo incremento del lavoro povero”. Per il presidente della Fondazione è inoltre necessaria “una nuova fase della contrattazione che rinnovi i contratti collettivi di lavoro da troppo tempo bloccati, una riforma fiscale che recuperi risorse vero le retribuzioni. Occorrerà agire su tutte queste leve se si vuole dare fiducia nel futuro, elemento essenziale dello sviluppo, collegandole all’utilizzo degli investimenti con l’accesso ai fondi europei, alla trasformazione del nostro modello produttivo e alle necessarie risorse per far ripartire i consumi”.

Questiona_salariale_commento_2020

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