“Serve un Rinascimento del lavoro Detassiamo gli aumenti contrattuali” [di M. Zatterin ‘La Stampa’]

Il grande e intricato schema delle cose in cui si muove l’Italia che si spera post-pandemica lo porta a invocare “il passaggio dal Medioevo neoliberista della precarietà e dei contratti pirata a un Rinascimento del lavoro, economico e sociale sostenibile”. La via, assicura Maurizio Landini, è quella della progettazione di “un nuovo modello di sviluppo e di un nuovo sistema di ammortizzatori sociali” e nel “far partire gli investimenti pubblici e privati perché così si difende il lavoro e se ne crea di nuovo”. A questo, il segretario della Cgil aggiunge “l’esigenza di una vera riforma fiscale, visto che – per cominciare- abbiamo 107 miliardi di evasione: recuperare queste risorse equivale a incassare la metà dei soldi che l’Europa è disposta a darci e ad aumentare i fondi a disposizione”. Approva la mossa del governo sulla proroga del blocco dei licenziamenti, il sindacalista emiliano. È allarmato da una Confindustria “antica” che brandisce lo spettro di un milione di licenziamenti quando lo stop finirà. E non considera sufficiente la defiscalizzazione delle imprese per rilanciare il Mezzogiorno. “Serve un progetto complessivo e bisognerebbe superare il confronto fra Sud e Nord, perché se non gira il primo, non va neanche il secondo”.
La decontribuzione va condizionata all’applicazione dei contratti nazionali, il cui rinnovo è atteso da dieci milioni, e tassare al 10% gli aumenti che saranno decisi, il che aumenterebbe il netto in busta paga per tutti. Ecco l’idea. Ora è sul tavolo.

L’economia tracolla, segretario. Il governo va nella giusta direzione?
“Prima della pandemia, la situazione del. Paese era già grave. Il Covid ha fatto emergere, e accelerato, le diseguaglianze e l’impoverimento del sistema industriale che veniva tenuto nascosto. Mettiamocelo bene intesta, bisogna cambiare tutto! Serve un nuovo modello di sviluppo economico che faccia i conti con la sostenibilità ambientale, una sanità da ripensare in cui la spesa non sia un costo ma un investimento, una nuova era tecnologica. Siamo a un bivio, e non dico che il cammino sarà facile, eppure non possiamo tornare al punto di partenza. È il tempo della presa di responsabilità di governo e parti sociali. È il tempo del confronto e della progettazione, del lavoro stabile, di qualità e non precario”.

Le sembra che Confindustria sia disponibile?

“I segnali che arrivano fanno pensare. Bloccano il rinnovo dei contratti, anche quelli di chi ha lavorato in condizioni difficili durante il lockdown, come la Sanità privata e l’alimentare. Non è una risposta. È un modo vecchio e regressivo di gestire le imprese; una scelta grave e sbagliata, perché se non si investe sul superamento della precarietà della formazione continua e delle competenze, si ritorna diritti al pre-Covid”.

Non ha ancora visto îl presidente Bonomi.

“Sarà il 7 settembre”.

Si comincia dai contratti?

“Se si vuol discutere di rilancio, vanno rinnovati”.

Intanto sono state ridotte le tasse al Sud. Funziona?

“La decontribuzione esiste da anni, e non solo nel Mezzogiorno. C’è stato anche il Jobs act, senza risultati sufficienti. Da sola, non serve a far ripartire l’economia, del resto lo stesso governo ha parlato di presentare entro novembre un progetto di rilancio del Mezzogiorno da realizzare in 10 anni. Ne parleremo già il 3 settembre”.

C’è chi sostiene che bisognerebbe estendere, o introdurre, riduzioni fiscali per il contratto aziendale o territoriale indipendentemente dall’esistenza di un contratto nazionale e dalla regione in cui ciò avviene.
“È una logica che non condivo, soprattutto perché la contrattazione di secondo livello si fa nel 30% delle imprese e il 90% di queste è nel Nord. Bisognerebbe collegare la defiscalizzazione e la decontribuzione alla certezza che vengano applicati i contratti di lavoro nazionali. Serve un quadro legislativo che dia validità generale “erga omnes” ai contratti nazionali contro le intese pirata. La contrattazione nazionale diventa così strumento guida che fa crescere la stabilità e superare il lavoro nero”.

In sintesi, cosa propone?
Di consentire lo sgravio solo a chi applica agli accordi nazionali di lavoro e garantisce salari, diritti, ferie in modo da combattere la precarietà e sostenere la formazione. Ovvero, di tassare al 10% gli aumenti nazionali attesi da 10 milioni di lavoratori senza contratto da anni”.

Il 6 agosto ha paventato la mobilitazione senza la proroga del blocco dei licenziamenti. Minaccia rientrata?
“Il governo ha deciso che, sinché utilizzeranno la cig, le imprese non potranno mandar via nessuno, mentre i licenziamenti collettivi sono bloccati sino a fine anno. Da questo punto di vista, abbiamo avuto la risposta che volevamo. Ora chiediamo il confronto per la riforma degli ammortizzatori sociali, l’incentivazione dei contratti di solidarietà, la riforma dell’orario in rapporto con la formazione. Abbiamo indetto con Cisl e Uil per il 18 settembre una giornata di mobilitazione per sostenere le nostre proposte, penso che la manterremo. Vogliamo che si discuta di come affrontare questo processo di cambiamento epoca le. E vogliamo dire a Confindustria che, se manterrà l’atteggiamento di blocco della contrattazione a livello nazionale e collettivo, si assumerà la responsabilità delle iniziative che valuteremo di adottare in seguito”.

Visti gli sgravi al Sud, Giordano Riello ha detto di sentirsi “un pirla” perché ha fabbriche in Veneto e Trentino.

“Vorrei che si superasse la logica del confronto fra Nord e Sud, siamo tutti nel Sud dell’Europa, anche perché – sinora – le risorse post-Covid sono andate più a Settentrione che altrove. La pandemia ha aumentato il divario col Mezzogiorno ed è ripresa la migrazione interna. Se non rilanciamo il Sud, non riparte l’Italia. Ora ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. E ragionare nella logica dell’interesse collettivo”.

La storiaccia dei 600 euro a politici e benestanti pone una questione etica e morale per il Paese?
“Si, assolutamente. C’è sempre stata, è ipocrita svegliarsi adesso e dire che c’è un problema di etica. È inaccettabile che chi ha redditi elevati abbia chiesto il bonus. Ma quanto accaduto conferma il limite di una normativa che dava a tutti senza controlli. E una questione di fondo più generale che va affrontata. Passando, come dicevo, da una riforma fiscale che ripristini il principio della progressività del sistema; allarghi la base imponibile; riveda gli scaglioni; combatta l’uso del contante incentivando la moneta elettronica; potenzi la vigilanza dell’agenzia delle Entrate. Deve imporsi il principio secondo cui chi paga le tasse non è stupido, ma un cittadino che va trattato con riguardo”.

Qual è il ruolo che auspica per il sindacato?

“Chiediamo un incontro con la presidenza del Consiglio per avviare questa fase di contrattazione, consapevoli che la nuova politica industriale deve superare la logica dei settori da sostenere. Bisogna partire dai problemi da risolvere e dalla loro nuova trasversalità. Prendiamo l’esempio della Sanità, dipende una buona parte dalla tecnologia, e penso al settore biomedico, alla prevenzione, alla medicina a distanza. L’Italia deve diventare un polo logistico del Mediterraneo, partendo dallo sviluppo delle zone economiche speciali e dalle aree di crisi complessa. Cioè da Catania, Napoli e anche da Torino”.

Ha mai l’impressione che lo stretto di Messina torni auge quando la confusione supera il livello di guardia?

“In questo caso, si. Prima di parlare di ponte o tunnel occorreremo ragionare sulla rete ferroviaria che in Sicilia è ancora al binario unico. Vale anche per la Calabria e buona parte del Mezzogiorno. Serve il giusto ordine delle priorità: il ponte è inutile se congiunge il deserto industriale siciliano con quello calabrese”.

Intervista di Marco Zatterin (La Stampa edizione 15.08.2020]

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