Accordo raggiunto sul Recovery Fund. Landini, intesa storica.

Sono le 5.31 del mattino di oggi, 21 luglio 2020 quando il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel scrive finalmente una sola parola sul suo account Twitter: “Deal!”, “Accordo!”. E il vertice Ue che ha prodotto questo risultato entra nella storia.
La nuova proposta di compromesso su “Next Generation EU”, il Recovery Plan post Covid-19 da 750 miliardi di euro (390 di sovvenzioni e 360 di prestiti diretti agli Stati), e sul bilancio pluriennale 2021-2027 da 1.074,3 miliardi di euro (in impegni), è stata accettata da tutti i leader dei Ventisette, dopo quattro giorni di difficilissimi negoziati a Bruxelles. La stessa durata record del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, ma con ben altri risultati.
Per la prima volta, l’Unione europea emetterà titoli di debito comuni sul mercato (degli eurobond, anche se non si chiameranno così) per ben 750 miliardi di euro, per finanziare dei programmi comunitari, i cui interessi saranno pagati dal bilancio comunitario e che saranno rimborsati alla scadenza dallo stesso bilancio comunitario. E’ una svolta senza precedenti, anche se si tratta di una iniziativa eccezionale, “una tantum” e limitata nel tempo, per rispondere a una crisi senza precedenti.
L’Olanda e gli altri paesi “frugali” (Danimarca, Svezia e Austria, con l’appoggio parziale della Finlandia), inizialmente contrari al principio stesso di emettere debito per finanziare delle sovvenzioni a fondo perduto, e non solo dei prestiti, a favore degli Stati membri, sono riusciti a modificare in modo rilevante ma non sostanziale l’accordo, che mantiene tutta la sua ambizione e la sua portata.
Rispetto alle precedenti proposte, della Commissione europea (27 maggio) e dello stesso Michel (10 luglio), l’accordo cambia notevolmente la proporzione fra sovvenzioni a fondo perduto (“grants”), che ammonteranno ora a 390 miliardi di euro, e prestiti diretti agli Stati (“loans”), pari a 360 miliardi. Il rapporto diventa quasi paritario (52 a 48).
Nella proposte della Commissione e nella precedente bozza negoziale di Michel, invece, il rapporto era 2 a 1 a favore dei “grants” (500 mld) rispetto ai “loans” (250 mld)
L’accordo lascia invariato l’ammontare totale del Piano di rilancio (750 miliardi), ma soprattutto viene rafforzato il suo fondo più importante, la “Recovery and Resilience Facility”, che aumenta il suo “volume di fuoco”, con il totale che passa da 560 miliardi (310 di sovvenzioni e 250 di prestiti) della proposta iniziale, a 672,5 miliardi (di cui 312,5 di “grants” e 360 di “loans”).
Secondo le prime stime di fonti del governo l’accordo non dovrebbe penalizzare l’Italia. Dovrebbero diminuire di poco le sovvenzioni a fondo perduto, ma vi sarebbe anche un aumento sostanziale dei prestiti agevolati disponibili. La valutazione stima a circa 81,4 miliardi di euro le sovvenzioni che potrebbero essere assegnate all’Italia, rispetto agli 85,242 miliardi della prima proposta negoziale, con una riduzione di 3,842 miliardi.Per quanto riguarda i prestiti, si passerebbe dagli 88,584 miliardi della prima proposta a 127,4 miliardi, con un aumento di ben 38,816 miliardi di euro.
In generale, la riduzione totale di 110 miliardi nelle sovvenzioni di “Next Generation EU” comporta tagli di peso diverso nei vari programmi che compongono il Piano di rilancio, ma proprio il fatto che non venga ridotto (anzi, viene aumentato leggermente) l’ammontare dei “grants” nella “Recovery and Resilience Facility” (Rrf), spiega in gran parte perché l’Italia, che è il paese maggior beneficiario di questo fondo, non viene penalizzata.
Sul nodo della “governance”, si è concluso come doveva concludersi il durissimo braccio di ferro fra il premier olandese Mark Rutte, che pretendeva un diritto di veto sulle decisioni riguardanti l’esborso dei fondi Ue a favore degli Stati membri, e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, intransigente fino alla fine nell’opporsi a questa pretesa e nel difendere gli equilibri fra istituzioni Ue e le prerogative della Commissione, che ha la competenza nell’esecuzione de bilancio.
Dei 750 miliardi del Recovery Plan, il 28% andrà all’Italia, per una cifra di 208,8 miliardi, quasi 40 miliardi in più rispetto agli iniziali 170 riservati per il nostro paese.
TN da ildiariodellavoro.it


Vertice Ue: Landini, intesa storica. Ora percorso partecipato per costruire piano nazionale per lavoro e stato sociale
“Un’intesa che ha indubbiamente una valenza storica, senza la quale l’Europa non sarebbe stata all’altezza di fornire le risposte necessarie a fronteggiare la più grande crisi dal dopoguerra”. Così il segretario generale della Cgil Maurizio Landini commenta l’accordo raggiunto dal Consiglio europeo sul Recovery Fund e il Bilancio Ue 2021-2027.
“La trattativa che ha condotto all’accordo
– afferma Landini – ha fatto emergere una netta divisione tra gruppi di Stati membri che è quanto di più lontano da un sentimento reale di Unione. Per questo, la vera attuazione di Next Generation EU dovrà continuare a misurarsi sulla crescita di una vera dimensione europea che per il mondo del lavoro è obiettivo strategico”.
Per il leader della Cgil “risultati importanti sono: l’entità dei fondi stanziati complessivamente, ma soprattutto le modalità di reperimento, attraverso il ricorso sui mercati finanziari con l’emissione ‘storica’ di bond europei, così come richiesto anche dalla nostra organizzazione”. Inoltre, “altro elemento molto positivo è rappresentato – sottolinea Landini – dalla partita delle nuove risorse finanziarie, che configurano un vero e proprio strumento fiscale dell’Unione Europea. Questi risultati sarebbero stati impensabili senza il ruolo del Governo e del nostro Paese, oltre che delle alleanze costruite”.
“L’Italia deve essere soddisfatta dei risultati raggiunti. Ora però si deve affrontare la fase di costruzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza attraverso un percorso partecipato e di largo coinvolgimento, e che progetti, con protocolli di intesa condivisi, l’utilizzo di queste risorse per garantire un nuovo modello di sviluppo, sostenibile ambientalmente e socialmente, finalizzato – conclude Landini – alla creazione di lavoro e al rafforzamento dello Stato sociale”.

Landini, Cisl, UIL e Confindustria

Un’intesa “storica”, un “buon risultato”  e una “grande opportunità” da cogliere. Così i sindacati  confederali e la Confindustria giudicano l’accordo europeo sul  Recovery Fund e sono pronti a confrontarsi con il governo per  predisporre un piano di interventi di rilancio del Paese.

Secondo Confindustria, si tratta di un risultato ottenuto anche  grazie all’azione del Governo italiano, in linea con il paziente ma fermo traino esercitato da Germania e Francia. Per gli  imprenditori, ora è il tempo di predisporre al più presto  piani d’impiego delle risorse che “siano seri e credibili, volti  al rilancio dell’economia, dell’impresa e del lavoro”. Gli  obiettivi, i tempi e le risorse – fanno notare gli imprenditori  – vanno stimati ex ante con grande precisione, “puntando innanzitutto alla crescita degli investimenti, ed evitando, al  tempo stesso, un aumento della spesa pubblica corrente”.

Il segretario generale della Cgil,  Maurizio Landini, parla di risultati importanti che sarebbero  stati “impensabili senza il ruolo del Governo e del nostro  Paese, oltre che delle alleanze costruite”. La segretaria  generale della Cisl, Annamaria Furlan, definisce l’accordo  un’occasione storica e condanna quei politici che ancora  dibattono sul Mes: “un insulto a chi è stato male e peggio a chi non è più tra di noi”.

Anche Confindustria ritiene ancor più di prima che sia primario interesse dell’Italia usare il Mes per 37 miliardi a fini  sanitari, in aggiunta alle risorse necessarie all’economia produttiva.  Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri,  sostiene che è stato compiuto “un passo importante per il  futuro dell’Europa. Dopo anni in cui si è praticata solo  l’austerità le ingenti risorse destinate a ricostruire l’economia europea, prostrata dalla crisi pandemica, sono una  svolta significativa”.

Secondo Landini, ora però si deve  affrontare “la fase di costruzione del Piano nazionale di  ripresa e resilienza attraverso un percorso partecipato e di largo coinvolgimento, e che progetti, con protocolli di intesa  condivisi, l’utilizzo di queste risorse per garantire un nuovo  modello di sviluppo, sostenibile ambientalmente e socialmente,  finalizzato alla creazione di lavoro e al rafforzamento dello  Stato sociale”.

Per Furlan “occorre un accordo fra governo e parti sociali per  la destinazione di queste somme ingenti, con un piano concreto e  strutturale di interventi e riforme economiche per cambiare  davvero il nostro Paese”. A partire dal sistema sanitario, che per anni ha subito solo tagli: “Dobbiamo pretendere un  cambiamento molto forte, a prescindere se in autunno il virus tornerà oppure no”.

Bombardieri indica tre priorità:  infrastrutture, reti, sanità, guardando soprattutto al Sud.  Dalle reti ferroviarie alla manutenzione viaria, tutto il  territorio – sostiene – ha bisogno di riqualificazione. È poi necessario investire sulla rete e sulle connessioni: “Nel  periodo del lockdown abbiamo visto che non tutti hanno avuto gli  stessi diritti e le stesse opportunità”. Necessari quindi gli  investimenti nella sanità per offrire “un servizio omogeneo da  Nord a Sud, isole comprese”. Il Paese ha bisogno di “una  rigenerazione di grande portata: le politiche energetiche e  ambientali richiedono grandi investimenti”. Il sindacato –  conclude Bombardieri – chiede ora al governo di “contrattare le  scelte” per “contribuire a ridisegnare il futuro del Paese

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