Soltanto il Lavoro produce la socialit e il senso di cittadinanza convissuta.Cosa c nei 100.000 euro raccolti dalle comunit cinesi di Prato a favore degli italiani che hanno perso casa e lavoro in Abruzzo? E cosa leggere nella sottoscrizione per i loro ?concittadini? abruzzesi organizzata dai senegalesi che manifestano a Milano per tutelare il loro lavoro? Uninfinit di cose (?su cui, chiss perch, nessuno ha sinora seriemente riflettuto al di l della mera constatazione del fatto). Ma una mi preme qui rimarcarla. La chiamerei la sindrome del lavoro mobile, del lavoro che ?diviene? ma che, ad un tempo, lavoro (per dirla con Calvino) che vuole ?essere?. Un lavoro che cerca una nuova concretezza, una nuova socialit , una nuova stabilit di rapporti e di significati (oltre che unovvia solidit economica, retributiva e previdenziale). Che vuole costituirsi come la fonte di nuove solidariet , fondate sulla materialit di una cittadinanza che, prima ancora che condivisa, una cittadinanza comune perch ?convissuta?, per quanto in modo dialettico o addirittura conflittuale e comunque itinerante. Ma dove possiamo rinvenire le basi di una simile concretezza? In una parola che, da sola, racchiude problematicamente tutte le altre che abbiamo sin qui evocato e quelle che ciascuna di esse a sua volta richiama. Vale a dire il territorio, la citt che non pi racchiusa all’interno delle proprie mura, ma si dilata in un’area metropolitana che varca iÿpropri confini amministrativi.Il territorio, la citt ÿ cosa tanto essenziale, quanto di comune esperienza e, a un tempo, di capitale importanza. Perch ®il territorio siamo ?noi?: come insieme di cittadini antichi e nuovi, che abitiamo o usiamo o attraversiamo le nostre citt e i nostri borghi spesso inglobati in esse intese , le nostre colline, i nostri boschi, le nostre fabbriche e i nostri distretti, le nostre strade, le nostre ferrovie, i nostri porti, le nostre periferie e i nostri centri storici. Ma anche le nostre scuole, i nostri teatri, le nostre universit , i nostri ospedali, i nostri musei, le nostre piazze, le nostre stazioni. Cittadini antichi e nuovi che conservano o innovano stili di vita. Cos come antiche e nuove relazioni di comunit , di vicinato, di scambio, di solidariet o di conflitto. Per questo il territorio linsieme dei modi di pensare, di credere, di nutrirsi, di colloquiare e lavorare tra chi in Toscana nasce e vive e tra chi viene da altri mondi e altri vissuti. Ma anche il nostro ?muoverci? territorio: con il quotidiano transitare delle persone, dei saperi, delle merci e delle informazioni cui contribuiamo o di cui ci avvaliamo. E con le forme e le logiche con cui organizziamo il nostro lavoro e il nostro riposo¯. Cos parla di territorio il Pit, il Piano di indirizzo territoriale della regione Toscana. E fa bene a parlarne in tali termini perch, come ancora rimarca quel documento essenziale per il futuro della nostra regione, ®il territorio [?] quellintreccio di esperienze individuali e collettive che d significato e dignit di ?luoghi? agli spazi in cui mettono una qualche radice le nostre esistenze e le relazioni che le alimentano¯.Ora, nella congiuntura complicata che attraversa leconomia italiana a seguito sia del credit crunch anglo-americano sia del pieno esprimersi delle sue debolezze strutturali, la resistenza e il rilancio cui tutti paiono aspirare (istituzioni, media, opinione pubblica) convergono sullesigenza di puntare su fattori meno volatili: una produzione industriale di qualit , nuove tecnologie, capitale culturale e paesaggio come veicoli di immagine e occasioni per creare reddito. Si cerca, in una parola, nei territori, nella dimensione metropolitana della citt , la soluzione. Ma occorre fare attenzione: visto che, specie da noi, il discrimine tra paradigmi e luoghi comuni si fa sovente impercettibile. Cos, anche il richiamo territorialista, ÿalla citt nella sua dimensione allargata rischia di risultare consunto, sbiadito: ?®sballotato [com] fra i cultori della macro economia che letteralmente non lo vedono [il territorio], ovvero non lo conoscono e non lo riconoscono come fattore decisivo per il nostro sistema economico, e i cultori dello sviluppo dal basso, della dimensione micro che ormai [quel territorio, nelle sue dinamiche e nelle sue correlazioni reali] non lo rappresenta pi¯.Eppure l, nella realt di quei processi or ora evocati mediante il Pit toscano, che si gioca la partita: ?in primis, quella del lavoro.Oggi, infatti, il lavoro, come limpresa e come la cultura che ne sono i fattori costitutivi, chiamato a misurarsi con ampie regioni urbane, tenute insieme da una pluralit di relazioni di cui la crescita del pendolarismo rappresenta la fenomenologia pi evidente. Si tratta di big cities dalle quali dipende gran parte del futuro della societ italiana. E la Toscana, quella in particolare attorno al bacino dellArno, ne registra una delle pi interessanti e dinamiche dItalia. Poich raccoglie in s tutte e tre le componenti che fanno di un territorio un luogo capace di sviluppo reale in quanto fondato su una propria qualit intrinseca. Vale a dire: a) capacit produttive & innovative; b) capacit di attrarre, di accogliere e di integrare; c) capacit di produrre nuova socialit . Parliamo di ?capacit ?, per lappunto: non di risultati acquisiti. Ma capacit che, proprio perch tali, costituiscono una matrice preziosa per un raccordo fecondo tra territorio e lavoro. In una parola, si tratta di un territorio ottimale (?se vogliamo smettere di abusare di una parola che la retorica politica e giornalistica hanno ormai svuotato: ?eccellente?) anche se ancora solo virtualmente. Ebbene, quali sono le condizioni che possono permettere a una tale ottimalit di divenire un risultato tangibile?1.ÿÿÿÿÿ un reticolo di centri urbani e periurbani caratterizzati da efficaci contiguit territoriali, cio da complementariet infrastrutturali e convergenze funzionali: che vanno qualificate e consolidate (?e il parco della piana – ed un esempio cruciale – pu esserne un vettore decisivo);2.ÿÿÿÿÿ unorganizzazione efficiente del territorio, che produce un effettivo attaccamento della comunit ai beni collettivi irripetibili e indivisibili; una capacit di reperire risorse finanziarie e di spenderle bene; una cura assidua degli spazi e delle risorse pubbliche;3.ÿÿÿÿÿ una manutenzione attenta delle risorse territoriali accumulate e storicamente presenti (bellezza dei contesti urbani e paesaggistici; tradizioni civiche; localizzazioni geografica) insieme – soprattutto – a una cultura collettiva con cui una comunit – nel suo sistema sociale come nel suo apparato istituzionale – si responsabilizza per promuovere selettivamente lo sviluppo, sulla base di una condivisione sociale del lavoro come valore collettivo, quale denominatore del fare impresa e del fare cultura;4.ÿÿÿÿÿ la voglia e la capacit di comprendere e porre in valore i talenti del ?locale? – in una ovvia dimensione sovracomunale e in una altrettanto ovvia consapevolezza dei presupposti e delle implicazioni regionali e non solo di area vasta – mediante una forte propensione a recepire le innovazioni che si manifestano su scala transnazionale e globale. Perch un territorio che si fregi delleccellenza o che anche si limiti a considerarsi ?ottimale? un territorio aperto e fortemente interessato alle relazioni e alle contestualizzazioni internazionali delle proprie politiche, delle proprie imprenditoriali , del proprio lavoro;5.ÿÿÿÿÿ la rimozione del conflitto tra istituzioni e attori locali che rende impossibile qualsiasi eccellenza o qualunque suo surrogato. O le strategie sanno esprimere mediazioni operative, cio produttive di scelte che sanno porsi in opera, nel pluralismo degli interessi e delle aspettative locali, oppure i leader locali non sono credibili e condannano il territorio alla marginalit prima e allinaridimento economico e sociale poi;6.ÿÿÿÿÿ le decisioni di un territorio virtualmente ottimale sono costruite in un realistico dosaggio di leadership e di coinvolgimento: non per buonismo partecipativo ma per evitare che le posizioni dominanti deprimano quella coralit di cui un territorio vitale figlio e presupposto in egual misura;7.ÿÿÿÿÿ un territorio ottimale non un luogo n la sommatoria di monoculture. Insomma, non si danno pi, a differenza del passato, territori monosettoriali che siano anche competitivi, accoglienti, attrattivi, innovativi. Una tradizione manifatturiera deve saper integrarsi con il turismo, con limprenditorialit agricola, con gli eventi culturali, con la ricerca e le nuove tecnologie, con un governo della ?citta? e dei suoi contesti rurali che sappia coniugare antico e nuovo paesaggio; funzioni urbane moderne e centri storici; qualit architettonica, tutela ambientale e innovazione energetica.Se quella Toscana dellArno cui alludevo sapr darsi simili connotati, allora sapr anche diventare una nuova citt del lavoro: perch avr compreso che il lavoro, senza un territorio che lo alimenti, qualifichi e rinnovi, non ha casa n radici. E questa la peggiore delle precariet .ÿ→ E’ disponibile il file in formato PDF (6.8Mb) tratto dalla rivista Doc Toscana anno 9 num.27 maggioluglio 2009
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