Una storia dal Call Center per il sindacato di domani

Nel gennaio 2013, in un call center della provincia di Siena, che contava 100 contratti a progetto su dieci dipendenti, il management ha deciso di applicare il protocollo di intesa fra organizzazioni sindacali ed Unirec che, in sostanza, disciplinava l?utilizzo dei co.co.pro. nei call center di recupero crediti stragiudiziale, in deroga parziale a quanto previsto dalla riforma Fornero.Nella vita di ogni giorno questa applicazione si declinava con una paga di 5,48 euro lordi per ogni ora effettivamente lavorata, con la decurtazione dal conteggio finale di tutti i minuti, i secondi, gli attimi passati a fare qualcosa di diverso dalla chiamata in cuffia. Un minuto di pausa per riprendere fiato dopo una telefonata molto accesa, una sigaretta per interrompere lo stress lavorativo, persino andare in bagno finiva per avere un costo. Riuscite ad immaginarvi che cosa vuol dire? Non hai alcun diritto, tutte le conquiste che rendono il lavoro dignitoso, la condizione del lavoratore almeno accettabile, quelle conquiste che hanno pi? di un secolo e che qualcuno considerava, a torto, assodate, vengono spazzate via in un secondo. Pensate a cosa vuol dire non ricevere remunerazione per ogni attimo in cui sei considerato ?non produttivo?. Il significato di questo scempio lo metabolizzi solo quando vedi persone che si presentano al lavoro con quaranta di febbre perch? non possono permettersi due giorni in meno di paga e non hanno la malattia, madri in lacrime perch? hanno dovuto scegliere fra il figlio malato da accudire e la possibilit? di pagare le bollette a fine mese.Era una storia come tante, fatta di zero diritti, vessazioni, legge del pi? forte.Poi un giorno abbiamo iniziato ad organizzarci, a rispolverare quell?idea per cui se chi ti sta accanto e vive la tua stessa condizione materiale rimane solo, come te, non conta abbastanza per potersi ribellare. E tu con lui. Ma se vi riconoscete e vi unite siete pi? difficili da colpire e in quattro ancora pi? che in due, e via cos, finch? non ci siamo trovati in dieci, in venti, in trenta, finch? non siamo riusciti ad organizzarci e ad arrivare a contare oltre il 50% dei collaboratori a progetto iscritti con delega al sindacato.Il sindacato si ? fatto strumento, si ? messo a disposizione. Ci siamo dovuti inventare un percorso perch? quello che facevamo viveva fuori da quelle regole del mercato del lavoro novecentesco alle quali troppo spesso si rimane ancorati e che non esistono quasi pi? nella realt?. Abbiamo accompagnato la crescita di consapevolezza, lo studio delle normative, al conflitto costante. Abbiamo superato l?arroganza di un management che non sentiva ragioni finch? al tavolo non si ? dovuta sedere la propriet? stessa, per firmare il primo accordo sulla rappresentanza sindacale dei contratti a progetto e per ricostruire una condizione di lavoro diversa che, progressivamente, ha regolarizzato le posizioni incompatibili con il contratto a progetto, stabilizzandole, ha definito termini di valutazioni trasparenti delle risorse, un sistema di formazione che rende il mancato rinnovo contrattuale molto difficile ed il diritto di prelazione per anzianit? alla stabilizzazione contrattuale. Oggi contiamo 41 dipendenti su 110 contratti a progetto contro i 10 su 100 di quando abbiamo iniziato e alla fine del mese avremo altre tre trasformazioni di co.pro in contratti di lavoro subordinato.La nostra esperienza deve servire per ricordare al sindacato che questo ? il tempo ultimo per poter cogliere la sfida del tempo che viviamo e per farlo occorre mettersi in discussione come mai prima di adesso. La contrattazione inclusiva deve diventare realt? immediata ma per farlo non si pu? prescindere dalla piena rappresentanza dei lavoratori precari.Finch? non saremo capaci di intraprendere questa strada correremo il rischio di una frattura sempre pi? ampia fra una generazione senza diritti ed un?altra che i diritti li sta perdendo.Alessandro Francesconi (delegato Nidil Cgil – Ecr Italia – Siena)

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