Sicurezza sul lavoro, Beneforti (Cgil Toscana) a stamptoscana.it: “Investire sulla salute”

Sicurezza sul lavoro, Gessica Beneforti (segreteria Cgil Toscana) ha rilasciato una intervista su stamptoscana.it (LINK)

1) Come mai le morti sul lavoro crescono anche in tempo di covid?
Dobbiamo ricordare che anche nei momenti più duri della pandemia il lavoro non è mai diventato nella sua totalità lavoro agile, da remoto. Ciò è tanto più vero per i comparti a maggior rischio come l’industria e l’edilizia. Nemmeno durante il primo lock down di un anno fa tutto il lavoro si è fermato, numerose industrie hanno continuato ad operare, anche ricorrendo a escamotage e cavilli per aggirare le normative – se non a veri e propri illeciti – e quindi le probabilità che continuassero a verificarsi infortuni o incidenti fatali è rimasta alta, anzi, in percentuale alla quantità di ore lavorate, si sono accentuate.
2) La sensazione è che siano diventate conseguenza inevitabile del lavoro.
Morire sul lavoro non è mai inevitabile. Se questo continua ad avvenire è per precise ragioni e responsabilità. Dall’obsolescenza tecnologica dei macchinari spesso in uso nelle aziende, che nonostante tutta la retorica sull’industria 4.0 continuano spesso ad essere gli stessi di molti decenni fa ponendo un’urgenza di investimenti per rinnovarli, al mancato rispetto delle normative sulla sicurezza. Molte, troppe volte, sentiamo dai lavoratori e dalle lavoratrici storie di macchinari a cui sono stati asportati i dispositivi di sicurezza da parte delle aziende perché rallentano il lavoro o perché costano in termini di manutenzione. C’è anche un problema culturale: la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro continuano a non essere la prima preoccupazione delle aziende, ma anche di chi i macchinari li progetta, li produce e poi li vende. Assicurare salute e sicurezza, in un modello di sviluppo low-cost che caratterizza ancora pesantemente larga parte del nostro Paese, non è considerato un investimento ma un costo, possibilmente da abbattere,
3) Quanto influenza sul profitto il non rispetto delle regole?
Nel breve termine può influenzare moltissimo. Questa affermazione si lega al discorso precedente. Per produrre di più e aumentare i profitti si “spremono” i lavoratori, oggi come nell’Ottocento, oltre i limiti, causando stanchezza, stress, disattenzione che si traducono, questi sì in maniera inevitabile, in incidenti gravi o mortali. I macchinari meno sicuri costano anche meno, a parità di capacità produttiva, e quindi sono più convenienti, così come è conveniente privarli dei dispositivi di protezione che rallentano la capacità produttiva. Infine, per aumentare i margini di profitto si cerca sempre di risparmiare sui dispositivi di protezione individuale, siano questi le scarpe antinfortunistica, i guanti, gli schermi facciali, le mascherine, i pannelli di protezione o altro ancora. E’ un problema di modello economico. Si continua a ricercare il profitto contraendo in primo luogo i costi del lavoro e per la sicurezza, senza investire sulle tecnologie e su un lavoro buono e di qualità. Nel lungo periodo i costi diventano altissimi, sia in termini umani, per la perdita colpevole di vite, salute, benessere, sia in termini di costi per la collettività.
4) Secondo i vostri dati, quante aziende coinvolge l’insicurezza sul lavoro?
I dati ufficiali, sui quali peraltro scontiamo sia le difficoltà di collaborazione tra i diversi enti nel condividere i dati, sia gli obiettivi di vigilanza veramente troppo bassi, ci parlano di irregolarità diffusa. La percezione data dal nostro diffuso insediamento della rappresentanza conferma ed aggrava, per le tante ragioni evidenziate, quei dati. Per fare un esempio: il tasso di irregolarità (a varo titolo) riscontrato dall’Ispettorato nazionale del lavoro nelle 10mila aziende ispezionate l’anno scorso, per verificare il rispetto delle norme sulla sicurezza, è del 79,3%.
5) Chi dovrebbe controllare? Le RLS? E perché non lo fanno?
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non ha compiti di controllo o ispettivi. rappresenta i lavoratori esercitando le prerogative attribuitegli dal TU sulla sicurezza, spesso dovendo lottare anche solo per vederle riconosciute, e che attengono prevalentemente a momenti di informazione, confronto, proposta. I controlli spettano in primo luogo alle ASL e agli Ispettorati del lavoro, strutture spesso sottodimensionate per risorse e poteri sufficienti per esercitare pienamente le loro funzioni, senza contare le resistenze che incontrano da parte delle aziende e delle loro strutture di rappresentanza. Come non ricordare l’attacco di Confindustria dello scorso anno, che di fronte alle nostre legittime richieste di controlli per il rispetto dei protocolli anticovid, ha chiesto mano libera attaccando i sindacati colpevoli, a loro dire, di “non fidarsi”.
6) Quanto incide la formazione sulla sicurezza?
Molto, moltissimo innanzitutto per creare e rafforzare la cultura della sicurezza. La formazione è centrale sia per mettere i lavoratori in condizioni di conoscere i rischi e di lavorare in sicurezza sia per rivendicare l’attuazione delle norme e proporre dal basso miglioramenti. Anche qui purtroppo la logica è troppo spesso quella del contenimento dei costi, con i corsi che non vengono fatti, o vengono fatti male, con poche ore e tirati via. Ecco perché da sola non basta.
7) Secondo lei servirebbero gli inasprimenti di pena, dal momento che USB lancia la figura di omicidio di lavoro?
Inasprire le pene e prevedere fattispecie di reati specifici sarebbe un messaggio importante sotto il profilo politico e del diritto. Tuttavia da sola non basta. La logica dell’inasprimento delle sanzioni, spesso portata avanti dalla destra, ha senz’altro grande risalto mediatico ma riduce il problema ai soli termini dell’azione volta a colpire un reato già compiuto, ne fa solo una questione di repressione, tralasciando il vero punto su cui agire, che è la prevenzione e la costruzione di condizioni di sicurezza. E’ una logica che si è già rivelata inefficace di per sé. Basti pensare al reato di omicidio stradale o alla violenza sulle donne, non diminuita nonostante la trasformazione in reato contro la persona e la nascita delle aggravanti. Quello che serve è un rafforzamento delle normative, delle funzioni ispettive e delle prerogative di controllo, l’innalzamento degli standard di certificazione della sicurezza dei macchinari così come dei cantieri, il miglioramento dei dispositivi di sicurezza personali e ambientali, investimenti sui macchinari e sugli ambienti e infine maggiore e migliore formazione. Cambiare l’attuale modello di sviluppo per mettere anche le persone in condizioni di lavorare in totale sicurezza è prioritario affinché gli evitabili incidenti non avvengano mai più.

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