Relazione 21? congresso Camera del lavoro Prato

Relazione del Segreterio generale della Camera del Lavoro di PratoManuele MarigolliCare compagne, cari compagni,Questo congresso si svolge dopo una campagna di congressi di base durata parecchie settimane, che ha visto coinvolti oltre ottomila partecipanti tra lavoratori e pensionati (settemilasettecentoundici votanti), con una notevole crescita di partecipazione rispetto al precedente congresso.Si sono svolti anche i congressi provinciali di tutti le categorie con una significativa presenza e con un dibattito all?altezza della situazione.Il congresso si ? celebrato su due documenti contrapposti, e non vi nascondo che ero molto preoccupato, perch? in un fase cos difficile ritenevo sbagliato dividersi e rischiare di far venir meno l?immagine unitaria della Cgil a milioni di lavoratori, pensionati e cittadini. Sono convinto che il pluralismo sia una risorsa importante della Cgil, ma penso che si dovrebbe esercitare in maniera diversa dalla conta sui documenti, perch? non favorisce il dibattito.Il gruppo dirigente pratese ha avuto il grande senso di responsabilit? di confrontarsi con grande pacatezza e con spirito di attaccamento alla Confederazione. Di questo ringrazio tutti.Erano in campo due documenti, uno il cui primo firmatario ? Guglielmo Epifani, che a Prato ha ottenuto oltre l?88%; l?altro, il cui primo firmatario ? Domenico Moccia, che ha ottenuto meno del 12%.In questi anni difficili, la Camera del Lavoro di Prato si ? confermata un punto di riferimento per tutta la citt?, garantendo assistenza, servizi (in particolare previdenziali e fiscali e contrattuali) e consulenze ai lavoratori e ai pensionati. Nei congressi delle categorie i segretari hanno ampiamente illustrato le attivit? delle stesse e rinvio alle loro relazioni per chi volesse approfondire. I dati del tesseramento confermano lo stato di buona salute della Camera del Lavoro nel suo complesso.Ringrazio tutti i segretari provinciali, tutto il quadro attivo delle categorie, gli operatori e i responsabili dei servizi, gli addetti all?organizzazione, alla amministrazione, i pensionati che affiancano le nostre attivit?, per aver collaborato con dedizione e passione al raggiungimento di tali obiettivi, che altrimenti non sarebbero stati possibili.La crisi drammatica che oggi viviamo ha origini pi? lontane, il suo esplodere nell?ottobre del 2008 ? il venire a maturazione di una situazione che stava manifestando da tempo evidenti segni di cedimento, certo per chi voleva guardare con gli occhi del realismo.E? la crisi di un modello, quello liberista che aveva creduto che il benessere potesse essere garantito unicamente da una libera circolazione dei capitali, dell?intrapresa e degli investimenti, senza regole e senza confini. Senza nessuna forma regolativa, il mercato lasciato libero, senza lacci e laccioli, nei suoi istinti animali avrebbe provveduto al benessere generale.La globalizzazione, nonostante l?assenza di regole nel commercio, ha comunque garantito una crescita del PIL mondiale, tuttavia questo non ha prodotto benefici per tutti ma ha generato, insieme a problemi crescenti in materia di sostenibilit? ambientale, anche tante iniquit? sociali.I Paesi emergenti Cina, India, Pakistan hanno avuto tassi di crescita altissimi potendo contare su costi di produzione molto pi? bassi, e la crescita ? avvenuta attraverso le multinazionali occidentali che hanno sfruttano le situazioni di povert? come condizioni di vantaggio competitivo, non realizzando in sostanza nessuna ridistribuzione equa della ricchezza prodotta, magari utilizzando i profitti in investimenti finanziari.Per la Cina la cosa ? diversa: l si ? realizzata un? alleanza tra un regime totalitario che indirizza investimenti e realizza piani quinquennali insieme ad una economia di mercato di tipo capitalistico alterando fortemente le regole del gioco della competizione.Basti pensare che i Cinesi mantengono il valore della loro moneta agganciata al dollaro. In assenza di regole internazionali, il valore della moneta, che cresce o arretra in relazione alla capacit? di produrre da parte dei relativi paesi, ? uno dei pochi elementi di riequilibrio competitivo. Un Paese come la Cina, che cresce del 10% all?anno, in un sistema veramente di libero mercato, dovrebbe veder salire il valore della propria moneta, riequilibrando cos in parte le condizioni di commercio internazionale. Invece il Yuan ? tenuto con un valore artificiale basso, che aiuta in modo ingiusto quel Paese.Questa competizione planetaria senza regole, si esercita non solo tra imprese ma tra modelli sociali, nei paesi occidentali di vecchia industrializzazione ha finito per mettere in crisi il compromesso tra capitale e lavoro, che soprattutto in Europa si era realizzato in oltre un secolo di lotte del movimento operaio.La possibilit? di fare impresa e di spostare i capitali in ogni parte del globo, ha proposto un modello che assegnava ai paesi emergenti, nella nuova divisione internazionale del lavoro, il ruolo di nuova manifattura del pianeta, insomma di fare il lavoro sporco, fatto di fatica, di sudore; e a noi, ai paesi di vecchia industrializzazione il ruolo dove la ricchezza si realizza attraverso servizi avanzati, l?economia della conoscenza, dei luoghi climatizzati, insonorizzati, lontani dal rumore delle fabbriche. Le cose non sono andate proprio cos: da una parte una ricchezza che non riesce a essere distribuita secondo equit? e dall?altra un lavoro sempre meno riconosciuto nel suo valore sociale ed economico che si precarizza e che rende difficile, in particolare per le nuove generazioni, realizzare un progetto di vita.Anche l?Unione Europea nasce in questo clima culturale, ? l?Europa dei banchieri, della stabilit? monetaria e troppo poco l?Europa dei popoli: questa visione condiziona le sue scelte, basti pensare come non ha sufficientemente difeso la propria manifattura, in particolare il tessile che ? stato considerato settore maturo e utile come moneta di scambio negli accordi commerciali. Anche il sistema del credito in questi anni si trasforma e si modifica, nascono le banche d?affari e si favorisce una nuova finanza che accompagna la globalizzazione dei mercati.Il mercato finanziario assume sempre pi? il carattere di un sistema autonomo dall?economia reale, privilegiando l?investimento a breve, realizza profitti in tempi rapidissimi, spostando capitali, favorito da una pressoch? totale assenza di regole trasparenti. Tutto ci? ? stato possibile grazie ad un sistema di controlli, come i fatti hanno successivamente dimostrato, assolutamente inadeguato, rendendo facile l?investimento speculativo, favorendo il crescere di una economia di carta.Un mercato moderno non pu? prescindere da un mercato finanziario, che non ? un fine ma un mezzo: si suppone che svolga delle funzioni fondamentali per l?economia reale, per renderla pi? produttiva.Rendendo mobili i risparmi, allocando i capitali, gestendo il rischio, trasferendolo da coloro che non potrebbero sopportarlo, i piccoli risparmiatori, a coloro che possono sostenerlo. ? molto improbabile avere un?economia moderna senza un buon sistema finanziario.Al contrario dalla caduta della cortina di ferro in poi si ? andata affermando, insieme ad una globalizzazione senza regole dei mercati, una sempre crescente finanzia-rizzazione dell?economia senza regole.In America, in Inghilterra e in altri paesi, i mercati finanziari non hanno svolto le loro funzioni adeguatamente: incoraggiando comportamenti che hanno portato all?azzeramento del risparmio, mal dislocando i capitali, creando il rischio senza saperlo gestire, lasciando in pericolo milioni di cittadini, che ora subiscono le conseguenze con costi altissimi per questi errori. Se i mercati finanziari sono al centro di ogni economia di successo, i mercati funzionano bene quando guadagni privati e ritorni sociali trovano un allineamento.Spesso i profitti realizzati dalle imprese non sono andati a investimenti produttivi ma ad investimenti finanziari di tipo speculativo dentro logiche di un guadagno a breve.Questo ? avvenuto anche nel nostro paese, cos si sono sottratte risorse al sistema produttivo impoverendo il nostro apparato industriale, che ha accumulato ritardi enormi rispetto ai propri concorrenti.La compresenza di una globalizzazione selvaggia e di un mercato finanziario fortemente vocato alla speculazione hanno prodotto una miscela esplosiva dagli effetti catastrofici, che oggi sono sotto gli occhi di tutti.Nel 2007 i depositi bancari, le azioni, le obbligazioni, i titoli rappresentano tre volte e mezzo il PIL mondiale. Questa massa enorme di ricchezza in parte formata in modo artificioso senza che dietro vi fosse un valore reale corrispondente, ha realizzato le premesse per il disastro economico che oggi stiamo vivendo e che ancora non sappiamo quantificare nella sua entit?.La crisi di un sistema paragonabile a quella del 1929.La crisi ? giunta al culmine nell?ottobre del 2008 come uno tzunami annunciato, ? arrivata dagli Stati Uniti con il fallimento di una delle banche d?affari pi? prestigiose, LEMAN BROTHERS una di quelle banche che collocava sul mercato le proprie obbligazioni con una valutazione di solvibilit? da parte delle agenzie di rating con il massimo del giudizio, come dire il massimo dei voti ad uno studente modello.Dietro vi era un imbroglio, alla base vi era un cittadino americano che acquista un bene, una casa o quant?altro, a cui viene dato un valore molto pi? alto del reale e in cambio offre una promessa di pagamento attraverso un mutuo.Quella promessa di pagamento viene inserita in un prodotto finanziario, triturata, mischiata insieme ad altre promesse di pagamento, di nuovo mischiata con altri prodotti con altre promesse di pagamento, di cui si ? perso l?origine, con meccanismi sempre pi? sofisticati, poi venduta e rivenduta di nuovo e ogni volta che questo avveniva si realizzava un guadagno, una sorta di gioco di prestigio. Il principio base dell?operazione ? quello della catena di sant?Antonio, solo molto pi? sofisticato.L?economia americana, che per anni ha prodotto una crescita del 4%, era essenzialmente sostenuta dal debito delle famiglie, incoraggiate a sempre nuovi pagher?, un debito che non poteva essere onorato.Le banche e il sistema finanziario sono la causa scatenante la crisi attuale; ma all?origine vi ? un?idea che ha pervaso gran parte del mondo e che considera il denaro, il successo, come l?unico valore a cui ispirare la propria condotta.Il venir meno di un senso comune di giustizia, di un agire improntato al bene comune, il considerare l?interesse generale come ostacolo all?interesse privatistico, sono le premesse che hanno offerto un terreno di consenso a tali idee.Quell?economia artificiale teneva alta la domanda; il venir meno di quella ricchezza senza fondamento ha avuto delle conseguenze catastrofiche sull?economia reale. Prima si sono bloccati i mercati finanziari, poi si ? bloccata la domanda, dopo si ? bloccata la produzione, infine le conseguenze sul lavoro sono state devastanti.Cassa integrazione, mobilit?, ammortizzatori sociali, per quei lavoratori che ne sono provvisti e che sono in quella parte di mondo dove il compromesso dello stato sociale agisce; licenziamenti senza nessuna rete protettiva per quei lavoratori che prestano la propria opera in quei paesi dove non vi ? nessuna protezione. In entrambi i casi le conseguenze su milioni di persone hanno effetti drammatici.Le banche, in gran parte responsabili di quanto ? avvenuto, sono state salvate sia attraverso interventi dei rispettivi governi nazionali, sia attraverso i fondi internazionali, anche la BCE ? intervenuta nei confronti dei paesi membri. Ci? era assolutamente necessario, se non fosse accaduto le conseguenze sarebbero state enormemente peggiori e a pagarne le conseguenze pi? gravi sarebbero stati ancora i lavoratori, i pensionati, le generazioni future, che avrebbero visto andare in fumo i sudati risparmi delle famiglie.L?intervento pubblico in economia, dopo i decenni del liberismo imperante, ? apparso come la rivincita dell?eresia statalista contro l?ortodossia neo liberista; stando alle dichiarazioni dei capi di stato e dei vari ministri economici sembrava che si prefigurasse un rinnovamento del sistema improntato alla trasparenza e ad una idea in cui il mercato finanziario andava regolato e governato nell?interesse pubblico. Si tratteggiava un mondo dove i mercati sono funzionali al sistema nel suo complesso e sostengono l?economia reale, la sola che attraverso il lavoro ? in grado di ridistribuire ricchezza per una larga parte di popolazione. Quell?economia in cui il lavoro, sia manuale che intellettuale, ricopre un valore concreto e riconosciuto.Purtroppo devo constatare come quella discussione nel nostro paese abbia preso i toni della disputa ideologica: sulle pagine dei giornali si ? discusso se si fosse di fronte alla fine del capitalismo. Poi pi? nulla; anche a livello internazionale tutto sembra tornato come prima, il dibattito si ? concluso senza che nessuna decisione utile sia stata assunta dai governi in materia di regolamentazione.In questo quadro si fa palese il problema dell?esistenza dei paradisi fiscali. Si fa urgente l?esigenza, per difendere l?interesse di miliardi di persone, di creare una struttura sovranazionale capace di scoraggiare comportamenti elusivi di regole finanziarie concordate e ispirate all?interesse generale.Non si pu? consentire un potere enorme di vita e di morte nelle mani di pochi banchieri e speculatori finanziari al di fuori di ogni controllo democratico, dobbiamo fare pressione e ottenere nuove regole se non si vuole che quanto ? accaduto si ripeta di nuovo.La democrazia, come forma di governo, negli ultimi 30 anni si ? allargata, la caduta del muro di Berlino ha aperto questa strada a tutti i paesi dell?est, in Europa non vi ? nessun paese che non sia democratico, ma anche in America Latina ? avvenuto un processo di democratizzazione; perfino in alcuni stati islamici ci sono sistemi limitatamente democratici.Ma paradossalmente la democrazia mostra segni di stanchezza proprio in quei paesi dove ? nata. Si sono costituiti partiti xenofobi, o che dichiarano di ispirarsi al fascismo e al nazismo: sono i sintomi di una malattia che si manifesta e che ha origine in una percezione, cio? che il modello non permetta pi? in maniera adeguata la partecipazione alla formazione delle scelte dei propri governi da parte delle persone comuni. Il cittadino si sente espropriato dalle decisioni che influiranno sui propri personali destini.Il fatto che l?economia gioca su un terreno dilatato e la politica gioca in un terreno molto pi? limitato, fanno apparire quest?ultima molto debole rispetto al condizionamento che l?economia ha sul destino degli uomini.Se non si riporta l?economia dentro un controllo pubblico, in cui l?azione privata si inserisce dentro un contesto di interesse generale, alla fine la qualit? della nostra democrazia regredir?, perch? render? senza senso la partecipazione del popolo alle scelte importanti, riducendo la stessa a mera organizzazione del consenso da parte di gruppi: lobby che utilizzeranno i partiti come strumento per competere elettoralmente. La ?democrazia una tantum? in occasione delle elezioni.Per questo la crisi va affrontata anche dal lato della globalizzazione; attraverso accordi nel commercio internazionale, va garantita a tutti i competitori parit? di accesso ai mercati; eventuali condizioni di vantaggio vanno limitate ai paesi in via di sviluppo, per il resto, dalle barriere doganali a quelle non tariffarie, vanno garantite condizioni omogenee.Poi vanno introdotti, per i prodotti che entrano nel mercato europeo, criteri stringenti e azioni di controllo sulla salubrit? degli stessi a garanzia dei consumatori; inoltre la tracciabilit? ? condizione decisiva di trasparenza, affinch? il consumatore faccia una scelta consapevole non orientata unicamente dal prezzo.Va introdotta la clausola sociale che certifichi che il prodotto non contiene n? lavoro infantile n? schiavizzato.Dietro alle merci c?? il lavoro, dietro al lavoro c?? l?uomo, per questo andrebbe aperto un tavolo di trattativa per far s che insieme alla libert? di circolazione delle merci sia garantita la libert? di associazione per i lavoratori, che quelle merci hanno prodotto, cos da diffondere, insieme al commercio, la promozione e la conquista di un diritto di libert?.La difesa della qualit? della nostra democrazia passa da questa necessit? di regolare il mercato economico finanziario.La crisi ha colpito duro e come ha reagito il nostro governo? In un modo assolutamente inadeguato, prima negandola poi affrettandosi a dichiarare che era gi? passata. Del resto, erano tutti impegnati a cercare i cavilli per proteggere Berlusconi dai magistrati, come se il fatto di aver ricevuto un ampio consenso elettorale potesse giustificare il non rispetto delle regole. Non c?? vera democrazia dove il consenso popolare viene anteposto alle leggi. Anche in queste ore assistiamo al ridicolo balletto di chi, avendo consegnato in ritardo o incomplete le liste elettorali, invece di prendersela con la propria cialtroneria, inveisce contro la ?burocrazia giuridica?.Il Ministro Gelmini, demolisce la scuola pubblica, licenzia oltre centomila precari e dichiara di aver fatto una riforma. Si tagliano risorse all? universit? e alla ricerca e si dichiara di aver introdotto un criterio meritocratico.Il Ministro Brunetta offende i dipendenti pubblici appellandogli come ? fannulloni? e declama in pompa magna al popolo tutto di aver restituito efficienza alla macchina amministrativa.Il Ministro Tremonti, ispirando le proprie azioni unicamente al rigore di bilancio, ? intervenuto s nei confronti del salvataggio del sistema bancario, ma ha limitato di fatto la sua azione a questo unico provvedimento, con delle conseguenze dirette:I) Siamo il Paese che ha investito di meno al netto della questione bancaria, in termini di sostegno ai consumi e alle imprese; per questo siamo destinati ad uscire dalla crisi in tempi pi? lunghi rispetto agli altri partner europei.II) La contrazione dei redditi delle famiglie ha determinato per la prima volta una notevole riduzione del risparmio e dei consumi, in taluni casi intaccando il risparmio per far fronte alle spese correntiIII) Questo rigore non ha fermato la crescita del debito pubblico, che ha continuato a salire ed ? arrivato al 115% attuale. L?evasione fiscale aumenta, in ragione del fatto che un condono non ? negato a nessuno. Lo scudo fiscale ne ? l?ultima prova.Il crollo della produzione industriale ? intorno al 20%, con una disoccupazione che ? attualmente all?8,9% e potrebbe arrivare al 10,5 % alla fine dell?anno in corso .Finora si sono persi quasi 800.000 di posti di lavoro con 300.000 precari, di cui 70.000 collaboratori a progetto; di questi solo 1000 hanno ricevuto un contributo pubblico di 150 euro. I disoccupati complessivamente hanno superato i 2 milioni e centomila, numeri spaventosi dietro i quali vi sono drammi umani spaventosi.Nel frattempo la pressione fiscale sul lavoro dal 1981 ad oggi ? passata dal 17% al 29%: dodici punti pari a una perdita di 247 euro mensili in busta paga. Questo ? il modo concreto in cui si ? effettuato un passaggio di ricchezza dai pi? poveri ai pi? ricchi.Siamo un paese dove meno del 10% della popolazione detiene il 50% della ricchezza nazionale.In un contesto cos, il governo invece di tenere insieme il paese, rafforzare il legame tra i corpi intermedi, ha lavorato per dividere in primo luogo le organizzazioni sindacali, puntando all?isolamento della CGIL. Ha favorito un accordo sul modello contrattuale che prevede la derogabilit? dei contratti di lavoro, un recupero economico depurato dell?inflazione importata, generata dall?aumento dei prodotti energetici.Un accordo che non ha nessun nesso con la piattaforma unitaria varata e votata dai lavoratori. La CGIL ha ritenuto quell?accordo sbagliato, per questo non ha firmato, ma lo avrebbe sottoscritto se la maggioranza dei lavoratori lo avesse approvato con un voto democratico. Questo non ? stato possibile e di conseguenza abbiamo fatto la consultazione da soli, per onorare un impegno che ci eravamo presi al momento del varo della piattaforma.Anche nei momenti di maggior distanza tra le organizzazioni sindacali, e a maggior ragione nei momenti gravi, dobbiamo porci il problema dell?unit? del mondo del lavoro come obiettivo primario; pertanto sulla necessit? di riprendere un cammino unitario torner? pi? avanti.I numeri prima ricordati e le considerazioni espresse ci fanno dire come l?azione del governo sia stata inadeguata, si ? temporeggiato e nel frattempo centinaia di migliaia di lavoratori perdevano il posto di lavoro e andavano in mobilit? o in disoccupazione, altri sono in cassa integrazione, tutti con un reddito di circa 750 euro netti al mese.Questi sono i pi? fortunati perch? ce ne sono altri che sono stati licenziati e basta, senza nessuna protezione sociale o altri ancora che, a causa di una crisi lunga, hanno visto esaurirsi il sostegno al reddito senza che nel frattempo abbiano potuto trovare un nuovo lavoro.Questo ha gettato nel panico una quantit? enorme di famiglie, una parte di queste, non potendo onorare gli impegni come il mutuo per la propria abitazione, vedono messi a rischio i sacrifici di una vita.Gli ammortizzatori sociali mai riformati si sono dimostrati inadeguati per fronteggiare una simile situazione. Avendo un sistema non universalistico ma duale, che prevede protezioni diverse, secondo la dimensione dell?azienda, cio? se ha pi? o meno di 15 dipendenti, del settore in cui opera, se appartiene all?industria, all?artigianato o al commercio. La cassa in deroga, che noi purtroppo conosciamo benissimo, ? stata estesa a tutti i settori, garantendo un minimo di sostegno per coloro che possiedono i requisiti per averla. Ma centinaia di migliaia di lavoratori precari, i primi che non hanno visto rinnovati i propri contratti, sono rimasti fuori da ogni sostegno. Questo ripropone il problema di una riforma degli ammortizzatori sociali in senso universalistico, garantendo a tutti i lavoratori, indipendentemente dal numero, dal settore, dalla tipologia di contratto, lo stesso trattamento.Diventa urgente un intervento per difendere il sistema produttivo, per fare in modo che alla ripresa possa rimettersi in moto, con incentivi di varia natura a favore di quelle imprese che hanno investito, che hanno creduto nel lavoro. Diventa altres urgente intervenire sui redditi da lavoro e da pensione, per alimentare la domanda, rendere un po? di fiato al sistema, far muovere i consumi, reestituire un po? di fiducia.Alimentando i consumi si rivitalizza la produzione di beni, si rimette in moto un po? d?economia. Con il calo delle esportazioni rendere un po? d?ossigeno attraverso i consumi interni ? un modo per sostenere un apparato industriale che altrimenti rischia il collasso.Lo si pu? fare basta volerlo intervenendo sui redditi fissi da lavoro e da pensione, alleggerendo su questi una pressione fiscale che si ? fatta pesantissima. I lavoratori italiani sono i meno pagati e pi? tassati. Noi diciamo: diamo cento euro netti in pi? a lavoratori e pensionati.Un governo serio, in una delle situazioni pi? gravi che la nostra Repubblica ha conosciuto, troverebbe le risorse in quel serbatoio enorme che ? l?evasione fiscale, ne farebbe una priorit?, concentrerebbe gli sforzi a questo fine, alzerebbe la tassazione di rendite e patrimoni, renderebbe vantaggioso l?investimento produttivo. Ma tutto questo non appartiene alla cultura del berlusconismo, si premiano i furbi garantendo impunit? e anonimato, si mette una tassa del 5% sui capitali illecitamente esportati, che fa vergogna, se paragonata a quanto pagano lavoratori e pensionati.Tutte queste ragioni sono alla base dello sciopero generale che la Cgil ha proclamato per il 12 di marzo. Uno sciopero da soli che ha come temi l?equit? fiscale, la difesa del lavoro, i diritti dei migranti. Nel 2007 varammo una piattaforma unitaria sul fisco e la presentammo al governo Prodi. Il governo era in continue difficolt? a causa di una maggioranza molto risicata al Senato e di una litigiosit? interna che ne minava continuamente l?azione. Con quel governo facemmo importanti accordi che prevedevano interventi futuri a favore di pensionati e lavoratori. Il governo ritardava a darci delle risposte in materia di fisco e unitariamente decidemmo la data dello sciopero generale. Che non facemmo perch? il governo cadde a causa di Mastella.Perch? oggi non possiamo fare unitariamente quello che ieri avevamo deciso insieme?Eppure, nonostante l?accordo separato sul modello contrattuale, siamo riusciti con pazienza e buon senso a firmare insieme il rinnovo di importanti contratti di lavoro.Perch? su un tema che ci riguarda tutti e su cui avevamo trovato una piattaforma comune non diamo una risposta unitaria?Tutti sappiamo che l?azione del sindacato e i suoi risultati sono fortemente connessi al grado di unit? che sappiamo costruire. Per noi la situazione ha raggiunto un alto livello di gravit?, le ingiustizie e le diseguaglianze crescono, nonostante i rischi della divisione abbiamo deciso di proclamare lo sciopero.Certo ci sono cose su cui abbiamo opinioni diverse, tutte legittime, ma nonostante ci? affrontiamo insieme le crisi aziendali, siamo riusciti a concludere unitariamente contratti partiti su piattaforme separate, affrontiamo unitariamente la contrattazione sociale con i comuni.Dobbiamo interrogarci tutti, ? un invito che faccio agli amici di CISL e UIL di Prato, dove il livello di unit? ? rimasto alto anche nei momenti pi? difficili; dobbiamo spingere nei confronti delle nostre rispettive confederazioni perch? un confronto franco riparta nell?interesse di chi rappresentiamo. Certamente un nodo va sciolto ed ? il nodo delle regole che ci diamo quando in taluni casi non siamo d?accordo.Se tutti riteniamo che l?unit? ? un bene che va salvaguardato, dobbiamo darci delle regole che garantiscano l?unit? anche quando abbiamo opinioni diverse nei gruppi dirigenti.Ci deve essere un terzo che dirime i contrasti quando si verificano e quel terzo non possono essere che i lavoratori e i pensionati, nei modi e con le regole democratiche che insieme dovremmo decidere. Questa ? una sfida che non possiamo eludere, perch? nella divisione nessuno di noi si avvantaggia, neppure come organizzazione; ma il vantaggio ? solo delle controparti e lo svantaggio ? di tutti i nostri rappresentati, indipendentemente dalla tessera che hanno in tasca.Oggi coloro che pagano il prezzo pi? alto alla crisi sono i giovani, analogamente a quanto fu fatto per la legge 108, si pu? lanciare una iniziativa dal basso, partendo da Prato, finalizzata ad una proposta di legge, in grado di riunificare l?accesso al lavoro dei giovani, eliminando la pluralit? di istituti di avviamento che contribuiscono alla precariet?. La proposta dovrebbe nascere da un concorso unitario sia sindacale che sociale e culturale. L?iniziativa dovrebbe partire con una ricognizione scientifica con la partecipazione di esperti che avrebbero il compito di formulare delle proposte tecnico giuridiche da proporre in una discussione aperta come un convegno.La 108 part cos, oggi la chiamano la legge di Prato che ha esteso il concetto di giusta causa in tutte le aziende.La crisi a Prato ? iniziata molto prima, i primi segni si sono avuti all?inizio del 2001; dopo la situazione ? andata peggiorando in conseguenza di ci? che ? avvenuto nel mondo dopo l?attentato alle torri gemelle.Il rapporto euro dollaro, il ridursi enormemente del mercato tedesco, la fine dell?accordo multi fibre, l?affacciarsi sul mercato di nuovi competitori, le politiche europee assolutamente insufficienti per difendere il settore tessile, hanno generato un contesto di enormi difficolt? al nostro distretto industriale.Da allora si sono persi 10.000 posti di lavoro centinaia di aziende sono chiuse e quelle che non hanno chiuso sono state interessate da processi di crisi con mobilit? o utilizzo di cassa integrazione nei diversi modi.Il distretto rispose compattandosi: parti sociali, Istituzioni, insieme risposero cercando di limitare i danni e costruirono un progetto per il futuro. L?accordo del 2003 per il sistema moda toscano nacque a Prato e la Regione mise a disposizione 150 milioni di euro. Quell?accordo, in cui si prevedeva una ristrutturazione del sistema con l?obiettivo di irrobustirlo, superando l?eccessiva frammentazione dell?apparato produttivo attraverso vari strumenti fu uno dei punti pi? alti di concertazione.Purtroppo, gli obiettivi di fondo di quel progetto (ricomposizione della filiera e suo prolungamento, ricerca qualitativa e internazionalizzazione della produzione, individuazione di nuovi mercati, etc.) non furono raggiunti e, mi duole dirlo, da molti imprenditori neanche perseguiti. Di tali errori tutto il distretto sta pagando un prezzo altissimo.Quell?accordo fu lo sfondo su cui costruimmo il 16 marzo del 2004, primi in Italia, un?intesa sulla cassa integrazione in deroga, che estendeva i benefici della stessa a tutte le aziende tessili artigiane e industriali, indipendentemente dal numero dei dipendenti.Questo strumento ha consentito in questi anni a migliaia di lavoratori di mantenere un posto di lavoro e di evitare che il calo del lavoro si trasformasse immediatamente in licenziamenti.La crisi finanziaria del 2008 ? arrivata quando in molti ritenevamo che il peggio fosse passato e ha avuto sul nostro distretto degli effetti terribili. La crisi, che prima interessava prevalentemente il tessile, ha dilagato su tutti i settori.Le parti sociali e le Istituzioni decisero, intorno al tavolo di distretto, di organizzare una grande manifestazione per il 28 febbraio 2009: PRATO NON DEVE CHIUDERE.E la citt? si strinse intorno alla sua bandiera. In quell?occasione tutta la comunit?, dal Sindacato alla Chiesa alle Istituzioni alle forze politiche sociali ed economiche, fu trovato un punto altissimo di coesione, intorno alla consapevolezza che nessuno pu? salvarsi da solo.Di quello spirito quanto sia rimasto oggi non so dire, mi pare che vi sia troppo sfilacciamento e un clima da si salvi chi pu? aleggia nell?area. Il tavolo di distretto si ? allargato anche ai comuni delle province di Firenze e Pistoia che fanno parte del distretto tessile, non ? che sia peggiorato nella sua parte propositiva, ma il clima di fiducia reciproca si ? affievolito.Certo l?unica cosa che ? arrivata da allora ? il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e l?inserimento di Prato nelle aree in crisi, appena si sar? realizzato l?accordo Stato Regioni, cos come previsto dalle Leggi 99 e 181.Come organizzazioni sindacali- e qui apro una parentesi e mi rivolgo agli amici e compagni di Cisl e Uil di Prato: abbiamo bisogno, sui temi del lavoro, di recuperare un?iniziativa autonoma che si misuri direttamente con le esigenze e le aspettative dei lavoratori e dei pensionati e restituisca slancio alle nostre proposte- avevamo avanzato al tavolo la richiesta di prorogare il sostegno al reddito a tutti il lavoratori a cui finiva la mobilit? o la disoccupazione. Abbiamo fatto un incontro informale e uno formale tra novembre e dicembre dello scorso anno con il sottosegretario Viespoli, e tornammo con un impegno: sono passati tre mesi e ancora nulla ? successo.La Regione, da cui dipende la gestione di questi fondi, ha inviato i primi di gennaio la richiesta di incontro al ministero. Siamo in attesa, ma pi? il tempo passa e pi? questa faccenda assume contorni nebulosi, da disputa politica pre-elettorale.La vicenda, giocandosi sulla pelle di persone con problemi molto seri, getta una brutta immagine su tutti quei politici che cercano solo di trarne vantaggio per s? o per la propria parte. Qui non si tratta di spostare qualche voto in un paese in eterna campagna elettorale, ma di trovare insieme una soluzione che, lontano dal dare una risposta definitiva, renda meno drammatica la condizione di migliaia di famiglie.Approfitto di questa occasione del congresso della CdL per fare un appello forte a tutti gli interlocutori interessati: facciamo in modo che il ministero convochi la Regione e sia trovata una positiva soluzione.Per quanto riguarda le Leggi 99 e 181, la Regione ha dichiarato che raddoppier? i fondi che il governo riconoscer? e nel frattempo ha gi? concertato con tutti gli attori locali un nuovo piano moda da inserire dentro il patto di programma.Ma una sfiducia forte incombe come un cielo plumbeo sopra le teste di tutti, e questo ? il peggior nemico da combattere. E? necessario uno sforzo, uno scatto che ridia slancio.E? necessario un patto che abbia il proprio perno intorno alla legalit?,

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