Rapporto annuale Istat: significative disuguaglianze, Covid le aumenta

Emergenza pesa su lavoro donne, giovani e condizione bimbi

L’epidemia si è abbattuta sulle persone più fragili ‘acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese’. Così l’Istat nel Rapporto annuale. Una prova ne sono ‘i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19’, con i meno istruiti maggiormente colpiti. Sul mercato del lavoro hanno risentito dell’emergenza donne e giovani, più presenti nel settore dei servizi, impattato dalle conseguenze del Covid. La chiusura della scuole, poi, può aver prodotto un aumento delle diseguaglianze tra i bambini. Il 12% delle imprese pensa di ridurre l’occupazione. Ad aprile 3,5 milioni in Cig mentre 7,9 milioni degli occupati non ha lavorato.
E dunque disuguaglianze “significative” solcano il nostro Paese. E, avverte l’Istat nel Rapporto annuale, il Covid rischia di accentuarle, allargando i divari esistenti, con una ‘scala sociale’ nella quale è più facile scendere che salire. Il mercato del lavoro si restringe – val la pena ripetere che il 12% delle imprese pensa di tagliare – proprio per le fasce più deboli, giovani e donne. La didattica a distanza vede in svantaggio bambini e ragazzi del Mezzogiorno che vivono in famiglie con un basso livello di istruzione. La natalità potrebbe scendere ancora, eppure gli italiani i figli li desiderano, due l’ideale. Ma l’Istat sottolinea anche come il Paese abbia reagito. “Il segno distintivo” nel lockdown è stato di “forte coesione”. L’Istituto invita a guardare alla criticità strutturali del Paese come “leve della ripresa”.

GIU’ L’OCCUPAZIONE – “Il problema del reperimento della liquidità è molto diffuso, i contraccolpi sugli investimenti, segnalati da una impresa su otto, rischiano di costituire un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro”. L’indagine è stata condotta a maggio. Tuttavia “si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo”. Dai dati provvisori sulle forze di lavoro emerge inoltre che i lavoratori in Cig ad aprile – nella settimana di intervista – sono stati quasi 3,5 milioni. E, sempre ad aprile, quasi un terzo degli occupati (7,9 milioni) non ha lavorato. Cresciuti anche i lavoratori in ferie.
La “classe” di origine influisce meno sulla collocazione sociale che si raggiunge all’età di 30 anni rispetto al passato ma pesa ancora in misura rilevante. Per l’ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa. Una mobilità, dunque, verso il basso: il 26,6% dei figli rischia un ‘downgrading’ rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima.

COLPITI GLI STRATI SOCIALI PIU’ DEBOLI – “L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili”, come “testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19”, sostiene l’Istat, secondo cui “l’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita”. L’Istituto considera, infatti, il livello di formazione un buon indicatore di collocazione nello strato sociale.

10MILA NATI IN MENO, SOTTO 400MILA NEL 2021 – “La rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid”. Così l’Istat nel Rapporto annuale. “Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021″. E La prospettiva peggiora se si tiene conto dello shock sull’occupazione. I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021”.
VOGLIA DI FIGLI – Una “bassa” fecondità, “in costante calo dal 2010”, ma un “diffuso” ed “ancora elevato” desiderio di maternità e paternità. Una “forte discrepanza” quella registrata dall’Istat nel Rapporto annuale 2020. Il modello ideale di famiglia contempla infatti due figli. È così per il 46% delle persone, il 21,9% ne indica tre o più. Sono “solo” 500 mila quanti tra i 18 e i 49 anni affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita. (ANSA)

Il Covid blocca il lavoro

Allo stesso tempo, prosegue, “si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo”. I lavoratori in cassa integrazione ad aprile sono stati circa 3,5 milioni. Sempre ad aprile, quasi un terzo degli occupati (7,9 milioni) non ha lavorato.
Il 26,6% dei figli rischia un “downgrading” rispetto ai propri genitori. Per l’ultima generazione (i nati tra gli anni 1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è diminuita. L’Istat parla di “mobilità verso il basso”, che risulta più alta di quella in salita (24,9%), una circostanza mai avvenuta prima nella storia italiana.
C’è poi un problema di istruzione. L’Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea. Nel 2019, nell’area Ue-27 (senza il Regno Unito), il 78,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni possedeva almeno un diploma secondario superiore. In Italia, l’incidenza è del 62,1%, inferiore di oltre 16 punti.
Tanti sono gli spunti contenuti nel Rapporto. Per esempio la parabola dello smart working: durante il lockdown la quota di chi ha lavorato da casa, almeno per alcuni giorni nell’arco del mese, è cresciuta in modo esponenziale coinvolgendo oltre 4 milioni di occupati. Nel 2019 a lavorare da casa era meno di un milione di persone. “La stima dell’ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%)”.
Il Covid. come sappiamo, ha messo a dura prova la nostra sanità. Una sanità già segnata dal taglio dei posti letto, costante degli ultimi anni. L’offerta di posti ospedalieri si è ridotta notevolmente nel tempo: nel 1995 erano 356mila, pari a 6,3 per mille abitanti, nel 2018 sono 211mila, con 3,5 posti letto ogni mille abitanti. Nella Ue a 28 membri l’offerta media di posti letto è di 5,0 ogni mille abitanti. Mancano inoltre medici e infermieri rispetto alle necessità.
Una buona notizia, infine, arriva sul versante della fruizione della cultura. Durante i giorni del lockdown sono raddoppiati i lettori italiani. Si è dedicato a questa attività il 62,6% della popolazione a fronte del 29,6% rilevato nell’ultima indagine sull’impiego del tempo. di Emanuele Di Nicola da collettiva.it

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