Prato, pronto-moda condannato per sfruttamento lavoro dopo battaglia Filctem Cgil

Prato: al lavoro sette giorni su sette, condannati i titolari del pronto moda per sfruttamento. Da questa inchiesta è nato il protocollo per dare il permesso di soggiorno a chi è sfruttato. Meneghetti (Filctem Cgil):«L’operaio si è rivolto a noi. Ecco il percorso ad ostacoli per arrivare alla testimonianza»

(fonte: Il Tirreno)

Lavoravano per sette giorni su sette dalle 12 alle 14 ore al giorno anziché quattro come previsto dai loro contratti. Non avevano diritto al riposo settimanale e la pausa giornaliera consentita era non più di 10 minuti. Minime le condizioni di sicurezza e di igiene sul luogo di lavoro. È la prima volta che a Prato, tranne per l’indagine “cemento nero”, che arriva a sentenza, dopo il dibattimento, un processo per sfruttamento lavorativo (603 bis) .
I titolari di una confezione sono stati condannati a 4 anni e 9 mesi mentre i loro collaboratori, ritenuti consapevoli delle condizioni di lavoro, a 2 anni e sei mesi. Tutti di nazionalità cinese. L’indagine istruita e portata avanti dal pm Lorenzo Gestri, ora a Firenze, è cominciata per una denuncia di uno dei lavoratori sfruttati, un ragazzo nordafricano, che si era rivolto alla Filctem Cgil denunciando le condizioni in cui era costretto a lavorare. Durante il dibattimento è stato ricostruito il “sistema pratese”. Ma soprattutto ha provato, in un’aula di tribunale, che a Prato esiste un sistema che sfrutta il lavoro e lo distingue in base al paese di provenienza. Dal processo è emerso in modo inequivocabile come i lavoratori vengano trattati in modo differente: con contratti regolari se italiani, con orari e stipendi diversi se di nazionalità cinese e con stipendi inadeguati con il mancato rispetto di ogni orario di lavoro quando sono nord africani e pachistani. In questo caso i lavoratori venivano pagati con un “fisso forfettario” di 750 euro in busta paga a cui si sommavano dai 3 ai 500 euro a nero al mese. Tra l’altro due dei quattro dipendenti erano stati assunti mentre si trovava ancora in un centro di accoglienza e quindi in una condizione di fortissimo disagio.
«Il lavoratore che ha fatto partire l’indagine, un ragazzo africano in possesso di un permesso di soggiorno per protezione internazionale – racconta Juri Meneghetti, segretario della Filctem di Prato e Pistoia – si è rivolto a noi nell’aprile del 2018. Sebbene la denuncia abbia dato il via a un’indagine, e questa si fosse chiusa con il rinvio a giudizio, ci sono voluti quasi due anni per arrivare alla prima udienza. Intanto il denunciante era andato a lavorare in Germania e non era più reperibile per costituirsi parte civile». «Siamo riusciti a rintracciarlo in Africa – continua Meneghetti – e a convincerlo a fermarsi in Italia prima di rientrare in Germania. Eravamo a fine febbraio 2020 e il suo permesso scadeva ad aprile. Rischiava quindi di diventare clandestino, in Italia, prima del processo. E in quanto clandestino di non potervi partecipare, perché il fuorilegge era diventato lui. In pratica, non avrebbe potuto partecipare al processo nel quale si doveva costituiva parte civile, dove doveva essere rifuso del danno, dove era il testimone chiave per far condannare lo sfruttatore. Un processo che era costato due anni di indagine e che si sarebbe risolto nel nulla, a favore degli sfruttatori».
«Ponemmo il problema alla Procura e trovammo subito disponibilità, ma il lockdown bloccò tutto: sia il ragazzo in Italia che le scadenze dei permessi di soggiorno».
È da questa esperienza che, alla riapertura degli uffici, il 13 luglio 2020 nacque il Protocollo tra i sindacati e la Procura che prevede, in questi casi, che sia la Procura stessa a chiedere alla Questura il permesso di soggiorno per il denunciante, per tutto il periodo del processo. «Processo – conclude il sindacalista – che ci ha visti, assistiti dall’avvocato Alessandro Gattai, accanto al lavoratore sfruttato, costituendosi, e facendolo costituire parte civile, e portandolo a vincere il processo contro i propri sfruttatori che, oltre agli anni di pena, sono stati condannati a versargli una provvisionale di 12000 euro, aprendo così la strada alla successiva causa di risarcimento per le differenze salariali»

Pulsante per tornare all'inizio