Non ? con le piccole patrie che si salva il Paese

Caro direttore*,abbiamo letto con interesse le bozze che il suo giornale ha pubblicato sull?autonomia differenziata. Ovviamente il percorso legislativo sar? lungo e, allo stato, nessuno potr? prevedere quanto di ci? che in quei testi ? scritto sar? trasformato in legge. Prima di entrare nel merito, vorremmo riflettere su cosa ? accaduto dal 2008 in poi, quali processi sociali ha determinato la pi? grave crisi dal dopoguerra, quale Paese e quale Europa ci ha consegnato. I fautori dei progetti di autonomia differenziata motivano l?esigenza di modificare l?assetto istituzionale dello Stato con la necessit? di evitare una divisione del Paese tra aree ricche e povere, tra zone in cui le opportunit? abbondano e luoghi di disperazione economica e sociale. Purtroppo non c?? nulla da evitare perch? quelle fratture che si dice di voler evitare si ? gi? determinata, perch? proprio la crisi ha acuito le diseguaglianze. L?autonomia differenziata usa in modo propagandistico una crisi del modello di stato sociale che per decenni ha caratterizzato l?Europa, frutto di quel compromesso tra capitale e lavoro, delle lotte e delle mediazioni tra visioni differenti di societ?. L?idea condivisa era la centralit? della persona e dei suoi diritti fondamentali: alla salute, all?istruzione, al lavoro.Noi sosteniamo che non pu? esserci alcuna ripresa se non si pone rimedio a queste disuguaglianze, e guardando al nostro Paese sosteniamo che senza uno sviluppo del Mezzogiorno, senza sanare i gap tra territori, non vi pu? essere sviluppo dell?Italia e nemmeno dell?Europa. Viviamo una condizione in cui oggi si pu? essere poveri anche lavorando, e la crisi ha prodotto differenze anche all?interno di una stessa regione e anche in quelle che reclamano pi? autonomia traviamo nord ricchi e sud poveri. L?autonomia differenziata non risolve i problemi della precariet?, dell?ingiustizia sociale, ma anzi acuisce divisioni e anche regressioni sul piano culturale. Non sar? con le piccole patrie che usciremo dalle politiche di austerity e neppure che saremo in grado di rapportarci ai Paesi pi? forti economicamente e coesi socialmente all?interno del continente europeo o del mondo. Chi lo pensa sbaglia grossolanamente e va detto. L?azione sindacale da mettere in campo, la mobilitazione che deve vederci protagonisti non ? dividere ancor pi?, ma unire, costruire assieme un nuovo modello sociale europeo. E, nel nostro caso, partire dal Mezzogiorno che ? questione nazionale ed europea assieme, dal dare risposte a quei territori, come abbiamo chiesto con la straordinaria mobilitazione unitaria con Cisl e Uil dello scorso 22 giugno a Reggio Calabria. Serve un piano straordinario di investimenti che rilanci l?occupazione, affrontare il tema del fisco s, ma non dal punto di vista del residuo fiscale, ma di una riforma che riduca il carico sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, assieme a una lotta seria all?evasione. Rispettando il principio costituzionale che ognuno paga in base alla propria condizione. Altro che una riforma istituzionale che deruba il Sud povero per togliere al Nord i vincoli di solidariet? che lo legano al resto del Paese. Altro che flat fax che schiaccia verso il basso le aliquote e d? ancor pi? ai ricchi. Serve una vera riforma fiscale che aumenti i redditi di chi lavora ed ? in pensione, che aiuti a rilanciare una domanda interna che al Sud per il 70 per cento ? fatta di beni e servizi che arrivano dalle regioni del centro nord. Anche per questo diciamo che il Mezzogiorno ? tema nazionale e che forse dovrebbe stare a cuore in primis proprio alle Regioni pi? ricche. E sappiamo che non potr? esserci ricostruzione di una unit? nazionale e sociale senza garantire in maniera universale il diritto all?istruzione, alla formazione. Per affrontare una rivoluzione tecnologica e digitale che va governata e richiede saperi in aggiornamento continuo. Una scuola basata sulla divisione regionale tradirebbe le aspirazioni del Sud, come quelle del Nord. Cos come sbaglia chi crede di poter sviluppare autonomamente politiche industriali, o ambientali, o di manutenzione del territorio, senza una visione generale del sistema Paese. Noi, il sindacato, la Cgil ci opponiamo a un disegno di divisione del Paese perch? i diritti sociali sono in capo alle persone, a prescindere dal luogo di nascita. Per non dividere il Paese ma per tenerlo unito non servono certo leggi che certifichino la separazione, che rendano il sud colonia del ricco nord. La Cgil ? in campo per questa idea di Paese unito e solidale. Quello immaginato dalla nostra Costituzione.Maurizio Landini (segretario generale della Cgil)*lettera al direttore del Quotidiano del Sud

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