Landini a Conte: «Il tempo delle parole è finito»

“Al premier Conte dico: se vuole cambiare questo Paese lo deve fare con la gente che lavora. Da solo uno non cambia nulla”. Il messaggio arriva che è già quasi notte dopo una giornata in cui le agenzie di stampa hanno intrecciato i numeri dell’Istat, fotografia di un’Italia in crisi, e le indiscrezioni sul decreto semplificazioni.

Quel decreto, così come viene anticipato, non piace al segretario generale della Cgil. Ospite negli studi de la 7 risponde secco alle domande dei conduttori Luca Telese e David Parenzo e alle osservazioni del direttore del Foglio Claudio Cerasa: “I provvedimenti proposti su appalti e subappalti, come l’eliminazione del Durc – che attesta la regolarità contributiva delle aziende – sarebbero un modo per tornare indietro, non certo per andare avanti. I problemi veri sono l’illegalità, il lavoro nero, la criminalità organizzata. È di questo che bisogna discutere se si vuole cambiare davvero e liberalizzare il subappalto o eliminare documenti che hanno come scopo proprio quello di garantire la trasparenza significa muoversi nella direzione sbagliata anche perché – ricorda il numero uno di Corso d’Italia – siamo ancora il Paese del caporalato, della precarietà, dei diritti ridotti, della mancanza di tutele.”

Il messaggio è diretto proprio al governo al quale Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un confronto serrato. In gioco ci sono anche le scadenze imminenti come il blocco dei licenziamenti, allo stato attuale in vigore solo fino al 17 agosto. Si rincorrono le promesse di una proroga, ma la richiesta del sindacato è precisa: che sia fino a fine anno e che si inizi contemporaneamente a ragionare su come riformare il sistema delle tutele e del sostegno al reddito in senso universale: una riforma degli ammortizzatori sociali.

Anche su questo il governo ha detto ma non ha ancora fatto: “Una nuova misura è stata annunciata ma un provvedimento a oggi non c’è e non è stato discusso con noi che invece abbiamo chiesto una trattativa. Vogliamo ragionare di come gestire l’emergenza ma anche di come progettare il futuro”. Sul blocco dei licenziamenti Confindustria si oppone, Landini ribatte: chi pensa di risolvere licenziando le persone non guarda al futuro perché un’impresa seria ha bisogno delle competenze dei suoi lavoratori. Tra l’altro penso che contributi e sgravi a pioggia per le imprese siano un errore”. Il riferimento è al taglio dell’Irap, misura sulla quale Landini non esita a dire che il governo ha sbagliato -, la mente, però, corre anche al prestito destinato a Fca. D’altro canto è stata appena presentata la nuova 500 elettrica. “Ed è un bene che si cominci a produrre autoelettriche a Mirafiori ma il prestito doveva essere l’occasione per aprire un tavolo sull’intero settore dell’automotive. Continuiamo invece a non fare sistema. Oltre a chiedere di non delocalizzare per tre anni, l’esecutivo avrebbe dovuto entrare nelle quote azionarie visto che a fine anno Fca si fonderà con Peugeot. La differenza a quel punto sarà che il governo francese ha elaborato un piano, noi no”.

Piano, strategia, modello sono le parole più ricorrenti nell’esposizione del segretario generale della Cgil: “Quanti Covid debbono venire per capire che bisogna cambiare? Basta con ragionamenti vecchi come il cucco: il problema non sono le ore lavorate, in Italia ne lavoriamo fin troppe, e non raccontiamoci storie sul fatto che ci siano troppi diritti perché non è vero. Il nodo è nel valore aggiunto del lavoro ovvero negli investimenti, nell’innovazione e nella ricerca. Bisogna comprendere che dove c’è più precarietà, come da noi, questo valore aggiunto cala. Più precarietà non produce affatto più posti di lavoro. Il problema del nostro paese non è la produttività ma combattere l’evasione e far ripartire gli investimenti pubblici e privati su nuovi prodotti e nuove filiere produttive”. E anche in questo caso è il piano che manca.

Non sarà un ultimatum al governo ma il tono di Maurizio Landini la dice lunga: davanti a una crisi di cui i dati Istat confermano la gravità, non c’è tempo da perdere e non si possono sbagliare le mosse: lasciar fare al mercato non ha mai funzionato e non funzionerà adesso, è tempo di invertire radicalmente le politiche del nostro Paese se vogliamo darci un futuro. da collettiva.it

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