Landini, “In piazza per fermare i licenziamenti, la mediazione del premier non basta”

II segretario generale della Cgil lancia la manifestazione insieme a Cisl e Uil per il 26 giugno “Subito riforme condivise, evitiamo fratture sociali. Le imprese non possono riorganizzarsi tagliando il personale” L’intervista di Paolo Griseri su ‘La Stampa’ (16.o6.2021)

E’ ora di sciogliere il nodo del blocco dei licenziamenti: «Se non ci riusciremo utilizzeremo tutti gli strumenti, anche le piazze» per impedire «che le persone perdano il lavoro a partire dal primo luglio». Maurizio Landini parla di fronte alla platea della Camera del Lavoro di Biella che celebra i 120 anni dalla fondazione. Luogo simbolo della storia della manifattura nel Nord, luogo ideale per lanciare la strategia di fine giugno a difesa dei posti di lavoro. Il giorno 26 Cgil, Cisl e Uil scenderanno nelle piazze per chiedere la proroga del blocco dei licenziamenti e la riforma degli ammortizzatori sociali. E per chiedere al governo di impegnarsi a discutere preventivamente le riforme, a partire da quella fiscale.

Landini, fino a quando, secondo voi, dovrebbe durare il divieto di licenziamento?
«Con Cisl e Uil chiediamo una proroga fino al 31 ottobre». Ma ci dovrà essere il giorno in cui quel blocco finirà. O immaginate che possa essere prorogato anche dopo ottobre? «Non pensiamo certo a un blocco che dura all’infinito, ma crediamo che i licenziamenti non possano diventare lo strumento per riorganizzare le imprese».

Avevate detto che lo sblocco sarebbe arrivato quando fosse stata varata la riforma degli ammortizzatori sociali. Come mai non è ancora stata fatta?
«Intanto perché nel frattempo è cambiato il governo, che non è esattamente un dettaglio. Crediamo che si possa completare la riforma in tempi ragionevoli e per questo proponiamo il rinvio dello sblocco al 31 ottobre. Ci sembra la soluzione più intelligente».

La mediazione di Draghi non vi basta?
«Non la riteniamo sufficiente. Per questo chiediamo al governo di riaprire il confronto. E stiamo contattando i singoli partiti perché il Parlamento approvi un emendamento in grado di spostare la data di scadenza del blocco».

E se non accadrà?
«Sono ottimista. Penso che il senso di responsabilità di tutti debba prevalere. Non si deve alimentare la rottura sociale, ma costruire coesione. Per questo va trovata una soluzione entro il 30 giugno, in modo da evitare un vuoto. Infatti il Parlamento fino a metà luglio non concluderà la discussione sul decreto».

Gestire il ritorno alla normalità non sarà semplice. Una delle eredità della pandemia è il telelavoro, che probabilmente non sparirà. Come lo contratterete? «Ci sono diritti da difendere anche per chi lavora da casa. Anche perché spesso le stesse persone lavoreranno da casa o in ufficio a seconda del giorno della settimana. Stiamo già contrattando, per esempio, il diritto alla disconnessione. Fino a quando ciascuno può essere utilizzato dall’azienda se lavora da casa?».

Ci sono anche vantaggi a lavorare da casa, non credete?
«Certo, è vero. Ma è importante evitare che le trasformazioni si riducano in riduzioni dei diritti. Proprio a Biella, all’inizio del `900, ci fu uno sciopero perché con l’arrivo dei nuovi telai tessili le aziende pretendevano che ogni lavoratore ne facesse funzionare contemporaneamente due».

Storie dell’inizio del secolo scorso…
«Anche in questo secolo però è accaduto qualcosa di simile». In che senso? «È successo in una società informatica che durante la pandemia ha applicato rigorosamente il lavoro da casa per tutti i dipendenti. E, di fronte al tentativo dell’azienda di sostituire il contratto integrativo aziendale con un regolamento, hanno deciso di spegnere telefoni e computer fino a quando la società non ha deciso di riaprire la trattativa».

Che cos’altro dovrebbe contrattare il sindacato nel lavoro che si trasforma?
«Intanto si dovrebbe fissare per legge la validità generale dei contratti nazionali in base alla rappresentanza di chi li stipula. Nei nuovi lavori spuntano decide di sigle sindacali diverse che siglano contratti “pirata” senza che si sappia bene quale sia la loro reale rappresentatività. Solo stabilendo quali sono le organizzazioni, sia datoriali che sindacali, più rappresentative si impedisce che nei settori dove maggiore è il precariato, penso ad esempio anche ai rider, si assista a una vera e propria giungla di contratti. Il nostro obiettivo è quello di ridurre al massimo le disparità in modo che a lavori uguali corrispondano diritti e retribuzione uguali».

Un altro punto da contrattare?
«L’utilizzo dei dati che le aziende acquisiscono ogni giorno con le attività digitalizzate. Dati che spesso determinano la nostra vita. E che non possono essere solo nelle mani dei privati. Pensiamo a quel che è accaduto in questi mesi di pandemia: i dati sanitari raccolti in questi mesi dovranno essere gestiti da una struttura pubblica e non venduti alle società private».

Come può ciascuno di noi prepararsi al cambiamento?
«Con il diritto di ciascuno alla formazione continua. Anche questo è un elemento importante che cambierà il nostro modo di vivere».
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