Landini, contro il precariato contratto unico indeterminato a forte contenuto formativo

«In un settore strategico come quello delle telecomunicazioni lo Stato italiano non può subire semplicemente la logica del mercato. Serve un piano industriale finalizzato alla costruzione della rete unica senza escludere il ricorso al golden power se il progetto di Kkr dovesse essere in contrasto con l’interesse industriale ed occupazionale del Paese».
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, esprime così le sue preoccupazioni sull’offerta del fondo di investimento americano. Rilancia l’idea dello Stato protagonista nell’economia proponendo la costituzione di un’Agenzia nazionale per lo sviluppo industriale e di un Fondo speciale per la transizione industriale.
Una nuova Iri? «Non ho paura delle parole, cerchiamo però di risolvere i problemi perché stiamo pagando ora oltre vent’anni di assenza di politica industriale. Invece è di questa che abbiamo urgente bisogno». Poi dice che gli oltre quattromila miliardi tra risparmio e patrimonio finanziario degli italiani dovrebbero essere investiti, con tutte le garanzie del caso, nell`economia reale per creare lavoro stabile. E lancia la sua proposta anti-precarietà: abolire i vari “contrattini” per introdurre un nuovo unico contratto a forte contenuto formativo a tempo indeterminato.

Landini, ci risiamo: Tim potrebbe di nuovo cambiare padrone. Cosa pensa dell’offerta del fondo Kkr?
«Stiamo parlando di un settore strategico per il nostro Paese, quello delle telecomunicazioni. Da tempo chiediamo che l’Italia si doti di una rete unica di nuova generazione che sia in grado di connettere il territorio, ma tutto è in grave ritardo. Si pone, davvero, un problema di strategia industriale; si tratta di capire quale ruolo vuole giocare il governo, compreso il ricorso alle prerogative che la legge prevede in caso di acquisizioni da parte di soggetti stranieri di aziende strategiche».

Sta dicendo che il governo dovrebbe bloccare l’operazione Kkr con il golden power?
«Non conosco qual è il piano del fondo americano. Sono certo, tuttavia, che il governo non può semplicemente subire la logica del mercato ma deve esercitare un’azione di indirizzo funzionale agli interessi industriali ed occupazionali nazionali. È da tempo che le organizzazioni sindacali chiedono la costituzione di una rete unica e di un campione nazionale unico e competitivo capace di difendere e qualificare l’occupazione».

Il rischio è uno spezzatino: da una parte la rete, dall`altra i servizi, con inevitabili tagli al personale.
È esattamente quello che va scongiurato. Serve una visione d’insieme. La rete è oggi l’infrastruttura tecnologica più importante per il Paese ed è la base sulla quale poggiare la trasformazione del nostro sistema manifatturiero nazionale. Riguarda tutti i settori, ad esempio: automotive, cemento, acciaio, chimica, vetro, carta. Questo è un tema strategico decisivo. La costruzione di una rete nazionale di nuova generazione rappresenta il volano per lo sviluppo industriale digitale. Per questo proponiamo la costituzione di un’Agenzia nazionale per lo sviluppo industriale e di convogliare tutti i fondi per gli investimenti nei vari settori, compresi quelli previsti nella legge di Bilancio, in un unico grande Fondo speciale per la transizione industriale. Due operazioni propedeutiche ad eventuali alleanze e investimenti internazionali. Non possiamo continuare a dire che siamo il secondo Paese manifatturiero europeo e poi non abbiamo una strategia all’altezza, cioè in grado di gestire la transizione digitale ed ambientale».

Il caso Tim conferma che l’Italia sta diventando un Paese appetibile per gli investitori stranieri. E negativo?
«No, ma è la conferma che serve una strategia. Insisto: lo Stato non può essere passivo. E credo che per far ripartire gli investimenti non ci sia solo il Pnrr. Il risparmio italiano vale oltre 1.850 miliardi; altri 2.300 sono rappresentati dal patrimonio finanziario degli italiani. Bene, penso che andrebbe favorito, con tutte le cautele del caso, l’investimento nell’economia reale, nella sanità, nella scuola, nei servizi sociali, attraverso strumenti finanziari garantiti dallo Stato».

Gli italiani saranno ben liberi di investire come vogliono i loro soldi. O no?
«Certo, non è questo il punto. Il punto è che dobbiamo in questa fase usare tutti gli strumenti, anche quelli finanziari, per lo sviluppo del Paese e creare lavoro di qualità. Il mercato lasciato libero non funziona. Serve un’idea di indirizzo e di volontà pubblica. Abbiamo visto tutti cosa ha significato privatizzare male un’azienda come Telecom».

Ma lei sta pensando di far rinascere l`Iri?
«L’Iri ha svolto un ruolo per lo sviluppo industriale del nostro Paese. La storia non si ripete. Ma penso a quello che può servire; penso, ad esempio, al ruolo della Cdp, la Cassa depositi e prestiti, che, tra l`altro, è già azionista sia di Tim sia di OpenFiber entrambe impegnate nella costruzione delle rete di nuova generazione. Quel che voglio dire è che è necessaria una visione complessiva, e l’apertura di un confronto con il mondo del lavoro, nelle telecomunicazioni, come nell’automotive, nella difesa, nel settore delle energie rinnovabile, nella chimica e via dicendo».

Il Pnrr dovrebbe servire anche a questo.
«Già, ma rischia di essere un’occasione sprecata se le risorse non verranno indirizzate alla creazione di buona occupazione. C’è in atto una ripresa importante ma il lavoro resta precario. In Italia ci sono 5,5 milioni di persone che lavorano e hanno un reddito sotto i 10 mila euro lordi l’anno. È lavoro povero. Così non si riparte».

Cosa propone?
«Un nuovo contratto unico per l’ingresso al lavoro a forte contenuto formativo. Basta con i contratti a chiamata, con le collaborazioni occasionali, con i tirocini extracurriculari! Nell’era digitale, se vogliamo entrarci, serve lavoro stabile e formazione permanente. Ma basta anche con i salari così bassi. C’è un altro virus che dobbiamo combattere, quello della “pandemia salariale”».

Per questo chiede al governo di destinare tutti al lavoro gli 8 miliardi per la riduzione delle tasse?
«Esatto. Dopo avere destinato 185 miliardi alle imprese, compresi i sostegni nella fase Covid, ora è il momento di pensare ai lavoratori e ai pensionati».

Di Roberto Mania da la Repubblica ed. 22.11.2021

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