La Toscana post Covid, l’intervento di Angelini nel libro di Repubblica

Il racconto dei mesi della pandemia a Firenze e in Toscana, firmato dai giornalisti di Repubblica. E venticinque idee per cambiare la nostra regione nei prossimi mesi, proposte avanzate da scrittori, scienziate, artisti, direttori di musei, saggiste, docenti universitari, oltre che dalla segretaria generale di Cgil Toscana Dalida Angelini. E’ “Covid – Il futuro in Toscana dopo il contagio” che sabato 25 luglio era in allegato in omaggio all’edizione toscana di Repubblica. Centosessanta pagine che, come spiega nell’introduzione il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, servono “per guardare in avanti, alle sfide ci aspettano”. Il libro, realizzato grazie all’aiuto di Regione Toscana, Fondazione Cr Firenze, Unicoop Firenze e Publiacqua, ripercorre la bufera che si è abbattuta sulla sanità, le storie di chi è stato colpito dal coronavirus o di chi lo ha combattuto in prima linea, la grande crisi dell’economia, le ferite nelle città toscane e lo shock per il mondo della cultura. E raccoglie anche 25 interventi, per guardare avanti, di Pippo Russo, Renzo Guerrini, Fulvio Conti, Roberta Lanfredini, Eleonora Pinzuti, Sandra Bonsanti, Sabina Nuti, Francesco Bianconi, Simone Lenzi, Miguel Poiares Maduro, Elisa Biagini, Ruth Rubio Marin, Alfredo Jacopozzi, Ludovico Arte, Carlo Sorrentino, Arti Ahluwalia, Angelo Riccaboni, Andrew Geddes, Antonella Mansi, Dalida Angelini, Eike Schmidt, Federico Tiezzi, Alexander Pereira, Arturo Galansino e Sergio Risaliti.

L’INTERVENTO DI DALIDA ANGELINI (SEGRETARIA GENERALE DI CGIL TOSCANA) PUBBLICATO NEL LIBRO

In questi mesi abbiamo tutti affrontato un nemico invisibile che ancora non è sconfitto e che potrebbe ripresentarsi, un nemico che ci ha sconvolto nella nostra intimità più profonda, che ha limitato la nostra libertà e che ha messo a nudo le nostre paure. Abbiamo vissuto una condizione di cui non conoscevamo niente, in cui ci siamo sentiti dire che ognuno doveva rinunciare a qualcosa, ed abbiamo fatto fatica ad attenerci alle regole. Abbiamo compreso che stare a casa era la cosa giusta da fare non solo per sé, ma per gli altri. Si è passati dal concentrarsi esclusivamente su di sé al concentrarsi sulla collettività. Dal sentirsi responsabile del proprio pezzetto al sentirsi responsabili della salute come valore di sistema: la responsabilità è stata la “cifra” di questo tempo.
E ancora: abbiamo compreso che c’è una dicotomia tra il cittadino che doveva stare chiuso in casa per il bene collettivo, e il lavoratore che per lo stesso bene collettivo doveva andare a lavorare, e non mi riferisco solo agli infermieri, ai medici, alle lavoratrici e lavoratori degli appalti degli ospedali, ai farmacisti, ai lavoratori che producono o vendono cibo a cui va il nostro grazie, ma soprattutto alla platea dei codici Ateco che si è allargata a dismisura, senza analoga responsabilità da parte di una certa classe imprenditoriale che anche in Toscana fa della rendita l’elemento essenziale.
Il Covid ha fatto emergere ciò che la Cgil afferma da tempo, e cioè che il nostro Paese si regge sul lavoro, sul valore sociale del lavoro, e allora forse non serve definire eroi alcuni lavoratori e fare appelli paternalistici, serve invece riflettere sul valore e sull’essenzialità dei tanti lavori. Abbiamo capito che nessuno poteva e può farcela da solo. Abbiamo troppe volte sentito discussioni su come nella ripartenza si dovesse riorganizzare la produzione, ma poco abbiamo sentito su come riorganizzare la società. Penso alla vita dei bambini e dei ragazzi completamente dimenticati, penso ai tanti anziani deceduti nelle Rsa e alle loro famiglie che non hanno potuto accompagnarli nell’ultima fase della loro vita, e che non hanno potuto ancora rielaborare quel lutto.
Come Cgil ci siamo attrezzati, nei territori, nelle categorie, nei nostri servizi, nelle Camere del Lavoro. Siamo i primi a esser consapevoli di quanto ancora si possa migliorare, ma di fronte ai nuovi bisogni che la crisi sanitaria e sociale hanno messo in campo non ci siamo ritirati, abbiamo cercato ogni modo per essere il luogo dove raccogliere e organizzare quei bisogni. Noi siamo stati aperti, nel rispetto delle misure anti Covid. Abbiamo da subito, facendo quello che è il cuore del nostro mestiere, rappresentato e trovato risposte ai bisogni delle persone, e abbiamo messo in campo un’intensa attività di relazione, confronto e contrattazione.
Lo scorso 9 giugno abbiamo poi, insieme ad Ires Toscana, presentato il rapporto sulle conseguenze del Covid sull’economia della nostra regione. La situazione congiunturale della Toscana prima della pandemia mostrava già un rallentamento della crescita, dovuto prevalentemente a un indebolimento della domanda interna e ad un calo degli investimenti, ma con una buona tenuta delle esportazioni. La nostra prima preoccupazione era rappresentata dalle conseguenze della guerra commerciale tra Cina e America, coi pesanti riflessi pesanti sull’accesso ai mercati internazionali ed il rischio dell’impatto che questo potesse avere sull’export regionale. Il Dpcm del 9 marzo, che ha esteso a tutti le misure di contenimento del contagio, ha determinato per la nostra regione uno scenario apocalittico. L’economia della Toscana cola a picco, il prodotto interno lordo crolla, c’è un boom di Cassa integrazione, sono a rischio tra i 70.000 e i 100.000 posti di lavoro da qui a fine anno. L’andamento previsto dei consumi per il 2020 è del -5,3%, le famiglie toscane a fronte dell’incertezza sul futuro accumulano denaro e lo mettono in banca senza investirlo perché temono che la crisi non finirà. Inoltre, il ricorso molto frequente all’utilizzo del lavoro da remoto, il telelavoro, ha ulteriormente peggiorato le condizioni delle donne, riportandole indietro nel tempo. Questo non significa che non lo si deve fare, ma significa che si devono trovare le soluzioni dentro i rinnovi dei contratti, come il diritto alla disconnessione, agli orari, alla sicurezza e ad avere una strumentazione adeguata. Non possiamo accettare che attraverso il lavoro da remoto si favorisca un arretramento e si amplino ulteriormente le disuguaglianze di genere. Allora, come ripensare il lavoro da remoto deve essere la nostra sfida, i processi innovativi non vanno mai demonizzati ma certamente vanno governati.
Ci aspetta un autunno molto difficile: la crisi avrà effetti duraturi, cresceranno disoccupazione, precarietà, inattività, e se non ci saranno risposte adeguate a questa situazione aumenterà il disagio sociale e la rabbia delle persone, aumenteranno le disuguaglianze. Oltre alle risposte quotidiane, la nostra azione deve porsi il tema del cambiamento, deve trasformare la fase dell’emergenza in opportunità, dobbiamo avere la forza e la determinazione di approdare ad un futuro diverso che deve essere costruito con il contributo di tutti. Il lavoro deve essere rimesso al centro delle politiche, va valorizzato, qualificato, difeso nei suoi diritti e nella sua dignità. O partiamo da qui oppure nessun cambiamento e nessuna ripresa solida saranno possibili. Il dramma che abbiamo attraversato in questi mesi dovrebbe averci insegnato l’importanza di un sistema sanitario nazionale in grado di curare tutti. La sanità pubblica va rafforzata, e non indebolita tagliando le poche risorse che sono destinate. Per questo penso che non sia giusto rinunciare ai 36 miliardi a interessi zero del Mes che per la Toscana sarebbero pari a 2 miliardi. Serve responsabilità di tutti, la politica, le istituzioni le organizzazioni di rappresentanza e sociali. L’idea che il mercato regoli tutto è fallita. La condizione attuale è irripetibile, l’Europa ha allentato i vincoli del patto di stabilità per gli investimenti e sta mettendo a disposizione numerosi strumenti di sostegno. I soldi sono tanti, ci sono le condizioni per utilizzarli tutti, ecco perché il momento delle scelte è ora e dobbiamo fare presto e non dobbiamo commettere errori. Ora è il momento delle scelte, è il momento del coraggio e della radicalità, cioè quella di aprire tavoli di trattativa per condividere le scelte e le priorità. Serve capacità di progettazione e pianificazione, è necessario identificare interventi economicamente e socialmente prioritari e che abbiano effetti moltiplicatori. Serve un piano dello Stato per fare ripartire l’economia, le imprese e il lavoro di qualità, non solo bonus, ma è ora di costruire un progetto, che invece di limitarsi ai trasferimenti monetari, progetti seriamente il futuro per poi realizzarlo. L’obiettivo deve essere quello di costruire un nuovo modello di sviluppo, più sostenibile ambientalmente e socialmente.
Le priorità per la Toscana sono scritte nel Patto per lo sviluppo sottoscritto un anno fa in Regione tra categorie e parti sociali, e rafforzato dal preliminare del 18 aprile scorso: partiamo quindi da un punto di vantaggio condiviso da tutte le parti sociali e le istituzioni, e questo può fare la differenza, iniziando da un forte rilancio della domanda pubblica nei settori strategici come sanità, scuola, ricerca, assetto idrogeologico, sostegno all’economia circolare, innovazione tecnologica, contrasto ai cambiamenti climatici, rigenerazione urbana, infrastrutture e servizi alla persona. Certamente tutto questo ha bisogno di un quadro di riferimento a livello nazionale che coniughi sviluppo lavoro e coesione sociale. Ecco perché è necessario non rimandare e fare in fretta perché il tempo non è una variabile indipendente. Per quanto ci riguarda noi siamo disponibili a fare la nostra parte, a negoziare tutto ciò che può servire in un’idea di sviluppo ma non saremo certo disponibili a dare mano libera al sistema delle imprese per scaricare i costi della crisi sul mondo del lavoro. Dare attualità al Patto regionale per lo sviluppo, rilanciare quei contenuti, ma al contempo individuare le priorità per superare la crisi aperta dal Covid significa fare noi adesso quello che chiediamo faccia il nostro governo. Le elezioni regionali, che rappresentano un’occasione imprescindibile di partecipazione, non possono rappresentare un freno alla domanda di ricostruzione, e non di restaurazione. Tutto questo significa rimettere al centro dell’agenda politica l’idea che il welfare è uno strumento di civiltà e di sviluppo che va sottratto alla logica di mercato, che i servizi pubblici rappresentano il più grande investimento su cui puntare, con uno sguardo nuovo ai dimenticati di questa emergenza, i bambini, i giovani, gli uomini e le donne di domani che meritano una assunzione di nuova responsabilità. E, in questo, un ruolo fondamentale dovrà rappresentarlo il sistema dell’istruzione, perché senza la formazione non si può costruire un futuro diverso, e la soluzione non può essere l’insegnamento a distanza. Questi temi potremmo affrontarli bene solo rafforzando la capacità di coniugare il pragmatismo dimostrato in queste settimane con una visione strategica ed una tensione ideale che non può che passare direttamente dalla capacità di integrare le conoscenze, le competenze, le elaborazioni del nostro complesso sistema di rappresentanza. Noi vorremmo che, nella campagna elettorale in atto per le regionali, questi temi fossero centrali, e che la politica fornisse risposte dichiarando la propria visione, in modo da consentire ai cittadini di questa nostra regione di fare una scelta consapevole. Noi faremo di tutto per tenere vive le questioni che ci stanno più a cuore, tenendo ancorata la politica alla concretezza degli aspetti che riguardano la qualità della nostra vita futura, in modo da smascherare le demagogie e i populismi che anche nella nostra regione hanno attecchito.

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