Istat, il 41,8% delle imprese ha fatto ricorso alla Cig

Il 41,8% delle imprese ha fatto ricorso alla Cig o a strumenti analoghi. E’ quanto emerge dal report Istat su “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”.
A fine novembre 2020, l’adozione di specifiche misure di gestione del personale a seguito dell’emergenza sanitaria riguarda oltre tre quarti delle imprese italiane con almeno 3 addetti (circa 754mila unità, che impiegano 11,1 dei 12,8 milioni di addetti complessivi dell’universo di riferimento); è una quota significativa ma inferiore a quella rilevata a maggio (che sfiorava il 90%).
Il restante 25% (248mila imprese, con 1,7 milioni di addetti) non ha alterato le strategie di impiego dei lavoratori o ha trovato un nuovo assetto immediatamente dopo la fine del lockdown. Questo insieme è composto prevalentemente da unità di piccola o piccolissima dimensione (meno di 50 addetti) che operano soprattutto nei comparti delle costruzioni e del commercio, e in alcuni settori industriali, quali prodotti petroliferi, altri mezzi di trasporto e filiera del legno-mobili.
Il ricorso alla Cassa integrazione guadagni (Cig) o ad analoghi strumenti di sostegno dal lato del costo del lavoro, quali il Fondo integrazione salariale (Fis), rappresenta ancora la misura più utilizzata dalle imprese per fronteggiare gli effetti dell’epidemia Covid-19 (41,8% delle unità). Il fatto che tale strumento risulti oggi utilizzato in misura meno massiccia rispetto allo scorso maggio, quando riguardava il 70% delle imprese, è anche il riflesso del recupero dell’attività economica registrato nei mesi successivi al lockdown.
Le altre misure di gestione del personale sono molto meno diffuse: la riduzione delle ore o dei turni di lavoro (o iniziative temporanee per ridurre il costo del lavoro) e l’obbligo delle ferie per i dipendenti sono state indicate rispettivamente dal 22,6 e dal 21,3% delle imprese. La rimodulazione dei giorni di lavoro, la formazione aggiuntiva dei lavoratori e il rinvio delle assunzioni riguardano una quota di imprese compresa tra circa il 13 e il 15%. Infine, alle modalità di lavoro a distanza (smart working e telelavoro) ha fatto ricorso l’11,3% delle imprese, una quota inferiore rispetto ai primi mesi della crisi sanitaria.
In termini di dimensione aziendale non vi sono differenze di rilievo. Altre strategie assumono, invece, una marcata connotazione dimensionale: ad esempio il ricorso all’obbligo di fruizione delle ferie e alla formazione del personale aumenta al crescere della dimensione aziendale. Ciò caratterizza in particolare lo smart working/telelavoro, adottato dall’8,0% delle microimprese (3-9 addetti), dal 19,1% delle piccole (10-49 addetti) e da oltre la metà delle medie (50-249 addetti) fino al 77,4% delle grandi i (250 addetti e oltre).
Sul piano settoriale, la Cig/Fis è generalmente più diffusa nell’industria in senso stretto (dove riguarda ancora il 47,8% delle imprese, in calo rispetto al 76% di maggio scorso), con picchi prossimi o superiori a due terzi nella stampa e nel tessile, abbigliamento e pelli. Nel terziario la riduzione del ricorso a questo strumento, che riguarda comunque il 41,1% delle unità, non ha invece coinvolto le attività più colpite dalle conseguenze dell’epidemia: nei settori di trasporto aereo, agenzie di viaggio, assistenza sociale non residenziale il 70% o più delle imprese ha fatto ricorso a misure di integrazione delle retribuzioni.
Le attività di servizi si segnalano invece, rispetto a quelle industriali, per un maggiore utilizzo di misure di contenimento dell’orario e dei turni del personale (22,6% delle imprese, con percentuali mediamente più elevate nei servizi alla persona) e, soprattutto, per una maggiore diffusione dello smart working che coinvolge l’11,8% delle imprese. In particolare, tra i primi dieci settori nei quali è più diffuso l’utilizzo del lavoro a distanza (in misura pari ad almeno il 55% delle unità produttive), nove appartengono al terziario (con quote non inferiori al 75% nel caso di trasporto aereo, consulenza informatica, servizi assicurativi e pensionistici, servizi di fornitura di personale) e uno – la farmaceutica (66,3% di imprese)- all’industria.
E.G. da ildiariodellavoro.it

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