IL PIANO DEL LAVORO DELLA CGIL

?Perch? un nuovo piano del lavoro? Perch? abbiamo perso milioni di posti di lavoro e la crisi ? ancora lunga davanti a noi. Perch? la politica economica che l?Europa sta imponendo agli Stati membri manterr? il continente in recessione e canceller? altro lavoro. Perch? stiamo condannando un?intera generazione di giovani a conoscere solo la faccia peggiore del lavoro: quello senza qualit?, senza stabilit?, che ignora le capacit? individuali, le conoscenze, l?innovazione. Perch? stiamo precarizzando e marginalizzando anche il lavoro degli adulti. Per un sindacato la crescita e lo sviluppo non possono voler dire aumento delle disuguaglianze di reddito e di tutele. Per noi la crescita si misura in posti di lavoro qualificati e stabili e diffusione del welfare sociale in tutto il paese?.Susanna Camusso spiega in un?intervista che potrete leggere integralmente sul prossimo numero di Rassegna Sindacale, in distribuzione agli abbonati da gioved, il perch? e il come del nuovo Piano del lavoro a cui la Cgil ha deciso di lavorare e di cui ? pronta una bozza (un documento agile, una ventina di cartelle divise in tre sezioni: analisi, strategie, ruolo dei soggetti sociali) che la Confederazione vuole far crescere con il confronto interno ed esterno; con le strutture della Cgil, con gli altri sindacati, le imprese, le forze politiche, le istituzioni, le Universit?, i centri di ricerca, le associazioni del volontariato. Uno sforzo progettuale che prova a far fare un salto di qualit? a un dibattito spesso asfittico, incapace di pensare oltre l?attualit?, con lo scopo di progettare un futuro diverso proprio per risolvere i problemi di oggi.Quali sono le linee guida principali del Piano? Prima di tutto l’analisi: l’Italia ha bisogno di politiche di innovazione e qualificazione del proprio apparato produttivo e di servizio che hanno perso competitivit? per troppi anni. Poi la convinzione che impoverire ancora il lavoro mentre si rilancia lo sviluppo ? oltre che iniquo un’idea suicida dell?economia con conseguenze socialmente devastanti. Su questo ci attenderemmo dagli imprenditori parole pi? chiare e meno ondivaghe di quelle che abbiamo ascoltato negli ultimi anni. C’? un problema di abbandono della ricerca, di scarsa innovazione, di poca qualit? delle produzioni e dei servizi, persino di eccessivo nanismo” delle nostre imprese che va affrontato in quanto tale, senza scorciatoie sul mercato del lavoro. La flessibilit? del lavoro non fa diventare competitiva un?impresa che non fa ricerca e non investe. Peggiora solo il mercato. La vicenda della Fiat su questo punto ? emblematica della peggior cultura della classe imprenditoriale del Paese. Non ha prodotti competitivi nei confronti delle auto tedesche e dice che ? colpa degli operai italiani…La Cgil parla di tre assi per lo sviluppo, imprese, occupazione, welfare (anche se ovviamente si intersecano). Ce n?? uno prioritario, uno da privilegiare se le risorse non fossero sufficienti per un disegno cos ambizioso? Sono appunto piani connessi fra loro. Estendere un welfare di qualit? (servizi per i bambini, gli anziani, le fasce pi? povere) oltre alle grandi reti nazionali (scuola, pensioni sanit?), in maniera omogenea nel paese significa parlare di governo pubblico del sistema, di occupazione qualificata e stabile da creare, di imprese da coinvolgere. Non dobbiamo pensare a un solo esercizio finanziario ma a un programma da sviluppare in molti anni. Non possiamo immaginare che le risorse possano essere solo e interamente pubbliche. Tantomeno che le imprese coinvolte siano solo pubbliche. Al contrario, anche le imprese dei servizi pubblici devono probabilmente essere riorganizzate e riqualificate per dirigere questo grande progetto d?innovazione del paese.Il capitolo ?risorse? ? molto dettagliato e ambizioso. Forse anche troppo? Se questo piano fosse il programma elettorale di un partito, chi lo voterebbe? Non so se sia troppo ambizioso. Le risorse individuate da noi sono simili per quantit? a quelle dichiarate spendibili dal Ministro Passera. Ma con tre differenze rilevanti. La prima ? sul dove si recuperano: noi pensiamo a una riforma fiscale che alleggerisca il contributo del lavoro e appesantisca come ? giusto il contributo fiscale delle rendite e delle grandi propriet?. La seconda riguarda il come: noi chiediamo che le risorse vengano affiancate a progetti di innovazione e non distribuite pi? o meno a pioggia secondo una vecchia logica pi? elettorale che economica. La terza riguarda il dove si investe. Noi pensiamo che sia indispensabile coinvolgere e responsabilizzare nella progettazione e nella spesa i governi regionali e territoriali a partire al Mezzogiorno e dalle aree dei terremoti. Il nostro ? un Piano che interviene creando domanda, non pi? solo aiutando le imprese in difficolt?.Per il resto, non siamo una forza politica e non cerchiamo consenso elettorale ma interrogheremo le forze politiche nei prossimi mesi su queste idee e chiederemo loro impegni seri in vista delle prossime elezioni. Non le lasceremo fuggire per la tangente di programmi elettorali fumosi e ideologici. Tantomeno di una guerra generazionale tra gruppi dirigenti.La Cgil punta molto sul ?pubblico? in un mondo nel quale troppo spesso questa sembra essere quasi una parolaccia. Non ? troppo ?illuminista? proporre una rivoluzione quasi copernicana? Mi sembra pi? semplicemente il recupero della visione keynesiana della politica economica che stava alla base anche del Piano del lavoro di Di Vittorio. Dopo anni di ubriacatura liberista e finanziarizzazione selvaggia dell?economia. Anche in questi ultimi mesi si ? visto il fallimento di quelle politiche che affidano alla spontaneit? del mercato la capacit? della ripresa e della crescita qualificata. Non ? cos e forse non lo ? mai stato. La novit?, rispetto alla teoria keynesiana classica, ? che noi non pensiamo a investimenti pubblici ovunque e comunque ma solo in progetti di innovazione e qualit?, allo scopo di aumentare la competitivit? del sistema paese e migliorare le condizioni sociali. Una sfida a innovarsi per il vecchio sistema, non un sostegno garantito a priori per tutte le imprese.La querelle tra pubblico e privato ? fuorviante. La vera sfida sar? tra imprese che innovano e imprese che ripiegano, sia nel pubblico che nel privato. E non dimentichiamo che la Francia ha pi? imprese pubbliche di noi. Le loro sono efficienti e aiutano a realizzare le politiche del paese. L?idea di regalare Air France ai privati non sarebbe nemmeno pensabile?˜”

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