Contro la crisi lordinaria manutenzione non basta

In questi giorni sui giornali, ma ancora di pi? in televisione, ? un continuo riportare notizie relative all?uscita dalla crisi, una ventata di ottimismo pare impadronirsi della stampa. Una ventata costruita da chi scrive o da chi fabbrica le notizie (che non sempre sono la stessa persona). Ora l?infondatezza di questo ottimismo ? cos manifesta, che pare perfino superfluo parlarne, ma invece non lo ?, perch? il clamore mediatico che se ne fa ? tale da indurre in qualcuno aspettative purtroppo infondate.Intanto la piccola ripresa,˜che ci potr? pur essere, non investir? il lavoro, quindi non ne beneficeranno i lavoratori ma solo le imprese. In una prima fase, sar? solo una parte dell?Italia, quella minore e pi? benestante, ad assaporare questo beneficio. Se mai, in un periodo successivo, quando verr? e se verr?, anche i lavoratori potranno trarne beneficio con una ripresa complessiva del lavoro e dell?occupazione. Ma solo fra parecchi mesi o forse anche anni.Il lavoro per ora continuer? a diminuire: a fine anno le imprese indebitate con le banche dovranno inviare a queste i loro bilanci; questi bilanci in gran parte saranno in rosso. Come faranno le banche, responsabili davanti agli azionisti, alla vigilanza e quant?altro, a concedere ulteriori crediti a chi ? gi? in rosso? Nella maggior parte dei casi non lo faranno e cos verranno altre chiusure o restrizioni nelle spese, a partire naturalmente del numero dei lavoratori impiegati.Quindi sul fronte del lavoro non ci sar? nessuna buona notizia, anzi saranno ancora brutte (e speriamo non pessime).Sul fronte stesso dell?economia comunque le cose non sono cos rosee come piace pronosticare a molti: mentre scrivo (26 novembre) le borse sono in fibrillazione per le difficolt? in cui ritrova il Fondo d?investimenti di Dubai, un grosso Fondo sicuramente (alimentato da miliardi e miliardi di barili di petrolio); ma quanti sono nel mondo i Fondi come questo? E se ? in difficolt? lo sceicco del Dubai chi pu? dirsi sicuro oggi?La realt?, purtroppo, ? un po? pi? triste di quanto vogliono farci sembrare: nel mondo il lavoro diminuisce, con esso i redditi delle persone e quindi i consumi. Nessuno, a tutto oggi, sa come far ripartire questi consumi, anzi perlopi? i governi, non solo il nostro, cercano di aspettare che passi la nottata, lasciando alle banche, alle organizzazioni finanziarie internazionali di fare il loro lavoro, come hanno sempre fatto, cio? ricreando speculazioni finanziarie rischiosissime e ricreando le condizioni per le quali si ? generata questa crisi in cui, lo ripeto, siamo ancora dentro e fino al collo.Certo questo quadro fa impressione e ci pu? spingere ad abbandonarsi al fatalismo: ? proprio il contrario di quello che dobbiamo fare. Far ripartire l?economia vuol dire ricostruire il domani, il futuro, una prospettiva per i nostri figli; non dobbiamo, non possiamo permetterci di lasciare tutto quanto nelle mani di chi l?ha rovinato. Le loro mani sono forti, fortissime, le nostre sono deboli? ma sono miliardi, miliardi di mani e di teste che devono pensare, ragionare sulle cose, rendersi conto e chiedere, alzare la voce, pretendere che una via d?uscita sia costruita, ma per tutti, non solo per chi possiede le azioni, ma anche per chi possiede solo il lavoro. Altrimenti non ci sar? futuro, non per noi ma nemmeno per loro, perch? nessuno pu? sedere su di un monte di sabbia: sar? alto, ma prima o poi il vento lo porta via.

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