Lavoro: Cgil, rinnovo contratti sia il perno delle politiche di sviluppo

“Dieci milioni di lavoratori non possono aspettare oltre, va loro garantito subito il rinnovo del contratto di lavoro, attendono ormai da troppo tempo, alcuni da anni. Una situazione resa ancor più complessa dalla caduta dei redditi dovuta alla cassa integrazione Covid: ogni lavoratore in Cig, tra marzo e aprile, ha perso il 27,3% del proprio reddito lordo mensile”. Così la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti sintetizza quanto emerso dai dati diffusi quest’oggi da Istat e Inps-Bankitalia.
“Le misure di sostegno dei redditi, adottate a partire dal Cura Italia e da dl Rilancio, che auspichiamo siano ulteriormente prorogate, hanno consentito – afferma Scacchetti – di contenere la caduta del redditi e del potere d’acquisto delle famiglie, ma purtroppo non abbastanza”.
Secondo la segretaria confederale per fronteggiare questa situazione di crisi occorre innanzitutto “ridare capacità di spesa ai ceti medi e medio-bassi per evitare un crollo dei consumi che avrebbe effetti negativi sull’economia del Paese. Oltre agli investimenti, volti a generare nuova occupazione di qualità, e ad una riforma fiscale all’insegna della progressività, il perno delle politiche di sviluppo deve essere il rinnovo dei contratti di lavoro pubblici e privati”. “Rinnovare i contratti non significa solo leva redistributiva, ma anche formazione e riqualificazione dei dipendenti, valorizzazione delle professionalità, e regolazione dello smart working e degli orari di lavoro, soprattutto alla luce delle nuove trasformazioni”.
“Per cambiare un modello di sviluppo che negli anni precedenti ci ha consegnato una ricerca di competitività troppo giocata sulla svalorizzazione del lavoro e sulla precarietà, è fondamentale – conclude Scacchetti –  rinnovare i contratti”.

Contratti: nel mese di giugno oltre 80% lavoratori in attesa di rinnovo
Secondo l’Istat nel mese di giugno la quota di dipendenti in attesa di rinnovo da inizio anno si mantiene stabilmente oltre l’80%, attestandosi sui valori più elevati della serie.
In particolare, i contratti che a fine giugno sono in attesa di rinnovo ammmontano a 52 e sono relativi a circa 10,2 milioni di dipendenti – l’82,4% del totale – cui corrisponde un monte retributivo pari all’81,6%. Entrambe le quote sono più elevate di quelle osservate sia alla fine del trimestre precedente (a marzo pari rispettivamente a 80,4% e 79,9%) sia dodici mesi prima (a giugno 2019 pari a 42% e 44,2%).
Alla fine di giugno i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica (21 contratti) riguardano il 17,6% dei dipendenti – circa 2,2 milioni – e un monte retributivo pari al 18,4% del totale. Nel periodo aprile-giugno nessun nuovo accordo è stato recepito, mentre ne è scaduto uno (tessili, vestiario e maglierie).
Inoltre Istat comunica che a giugno l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è aumentato dello 0,1% rispetto a maggio e dello 0,6% nei confronti di giugno 2019. Lo rileva l’Istat. La retribuzione oraria media nei primi sei mesi dell’anno è cresciuta dello 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Nel dettaglio, l’aumento tendenziale registrato a giugno è stato dello 0,8% per i dipendenti dell’industria, dello 0,6% per quelli dei servizi privati e dello 0,3% per quelli della pubblica amministrazione. I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono quelli del credito e delle assicurazioni e degli alimentari (+2,3%) e dell’energia elettrica e gas (+1,5%).
L’incremento è invece nullo per i settori del legno, carta e stampa, del commercio, delle farmacie private, delle telecomunicazioni e degli altri servizi privati.

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