Sergio Cofferati, che ha guidato la Cgil negli anni novanta, preoccupato. Al di l dellÕemergenza, che si presenta con tante incognite, lui crede che al paese serva adesso un grande accordo triangolare, tra governo, imprese e sindacato, che indichi le vie da seguire per avere una vera ripresa evitando i conflitti inutili. In questo quadro a suo avviso un ruolo di primo piano spetta allo Stato, che deve produrre le risorse necessarie e indicare orientamenti precisi su cosa e come produrre, anche assumendo la propriet temporanea di imprese da rimettere sul giusto binario. Ma preoccupato perch a suo avviso il governo non ha nemmeno nellÕemergenza coinvolto a sufficienza il sindacato, mentre le indicazioni che vengono al riguardo da Confindustria gli sembrano sbagliate e pericolose.Cofferati, che relazioni industriali avremo nel prossimo futuro?Il modello di relazioni industriali che si consolidato negli ultimi 30 anni deve essere cambiato in molti punti. Cambieranno le materie del confronto e anche le dinamiche esterne. Ma il rapporto e il confronto tra chi rappresenta le imprese e chi rappresenta il lavoro sar ancora fondamentale, pi di quanto non lo sia stato negli ultimi anni.Da cosa deriva questa certezza?In una fase di cambiamento ci sono elementi di novit che vanno discussi e sperimentati assieme. Perch la cosa da evitare, che le relazioni industriali accantonavano o riducevano opportunamente alle sue dimensioni fisiologiche, il conflitto.Il conflitto tra interessi diversi cÕ sempre.S, ma importante che non debordi, non diventi patologia, non si carichi di ragioni e significati diversi. Deve riguardare la materia del contendere, il lavoro, le condizioni del lavoro, tutte, dal salario alla sicurezza. In questi anni i cambiamenti che si sono succeduti sono stati prodotti essenzialmente dalle nuove tecnologie, che davano alle parti materie nuove, ma in un flusso continuo, in unÕevoluzione prevedibile.Adesso non pi cos?Adesso ci aspetta qualcosa di molto diverso, cÕ bisogno di un cambiamento assai profondo, che va gestito al meglio. Ma prima di arrivare a questo cambiamento, nellÕimmediato cÕ un passaggio che non sappiamo quanto profondo e quanto lungo sar, ma che difficilissimo, quello della gestione degli effetti della caduta.Che saranno molto pesanti?Sono a rischio tantissimi lavori, posti e intere filiere. Che possono ridimensionarsi o addirittura sparire. Questa emergenza va affrontata intanto con strumenti difensivi indispensabili, le forme di tutela come la cassa integrazione o i vecchi prepensionamenti, tutte forme di assistenza che abbiamo sperimentato nei decenni passati e che vanno messe in campo perch se non si proteggono le persone che o non trovano lavoro o lo perdono, il peggioramento delle loro condizioni di vita produce sofferenza e conflitto.Quindi massima attenzione in questa fase di passaggio?La situazione deve essere gestita con molta accortezza. Il governo deve mettere a disposizione gli strumenti da utilizzare, e ove possibile le parti sociali si devono mettere dÕaccordo tra loro. Anche usando strumenti di carattere pi strettamente contrattuale, una riduzione temporanea dellÕorario di lavoro, una rotazione dei posti che rimangono, una redistribuzione delle mansioni negli uffici e nei reparti produttivi. Gli strumenti che la contrattazione deve modulare perch non ci siano perdite vistose e soprattutto dolorose di lavoro e quindi di reddito. La protezione sociale un tema delicatissimo, nei prossimi mesi sar questo il tema pi urgente da affrontare.Ma poi si deve passare alla fase successiva.Bisogna pensare al dopo, che deve presentare delle indubbie novit. La prima il ruolo dello Stato. Dopo una crisi economica come quella che si annuncia, da una caduta cos consistente, con conseguenze di tutti gli effetti, dai consumi al reddito, impensabile che lo Stato svolga le funzioni che ha svolto fin qui. Deve esserci un cambiamento rilevante, lo Stato deve tornare a fare quello che ha fatto dopo lÕultima crisi assimilabile a questa che stiamo vivendo, quella successiva alla seconda guerra mondiale.Cosa deve fare?Serve un intervento pubblico, che vuol dire risorse e orientamenti precisi su cosa e come produrre da parte dello Stato. Altrimenti non se ne esce. Dobbiamo ripartire da unÕidea di sviluppo e di ricrescita che introduca elementi di novit. Il cuore di un modello di competizione, tanto pi in una condizione di ripresa, deve essere la conoscenza, scuola, innovazione, ricerca. Per dare forza al sistema produttivo e poi costringere anche i singoli territori a competere in alto, non a cercare di conquistare i mercati non pagando il lavoro o togliendo i diritti.Diritti individuali o collettivi?Devono andare di pari passo, devono essere ambedue componenti fondamentali di un modello futuro. EÕ stato cos per 70 anni, dal dopoguerra si sono difesi e sviluppati assieme, i diritti individuali e quelli collettivi. E vanno usati per affrontare lÕemergenza in tempi brevissimi e costruendo un riferimento economico che risponda ai bisogni delle persone, che rispetti lÕambiente come un pilastro fondamentale del suo essere, cosa che potrebbe essere negata da chi vuole fare in fretta e con disinvoltura.Come va costruito questo sistema di riferimenti?Questa somma di grandi capitoli, che hanno al loro interno un certo numero di incognite, a mio avviso deve essere il prodotto di un confronto triangolare, tra il governo, il sistema delle imprese, tutte, le grandi e le piccole, e chi rappresenta le lavoratrici e i lavoratori.La triangolazione indispensabile?S, perch cos si mettono a confronto opinioni anche diverse, si cercano le mediazioni e si evita il conflitto che pu nascere dal dolore prodotto dalla crisi, dalla scarsit di reddito, dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ma anche dallÕemarginazione dalla costruzione del nuovo.EÕ possibile che ci avvenga nel migliore dei modi?Sono abbastanza preoccupato, non mi pare che in questa fase di pura difesa il governo abbia coinvolto a sufficienza il sindacato. Cos come le cose dette dalle imprese, in particolare dalla nuova direzione di Confindustria, sono a mio avviso sbagliate e pericolose. Mettere in discussione il sistema del confronto negoziale, superare i contratti nazionali assurdo, di pi, un danno per le imprese. I contratti nazionali sono storicamente un regolatore della concorrenza tra le imprese. Se li togli conflitto, ci sar uno che ci guadagna, pu darsi, ma ci saranno dieci che ci perdono. Abbiamo un sistema che ha dato risultati egregi, perch allÕinizio degli anni novanta questo paese era in condizioni peggiori di quelle che dieci anni dopo hanno prodotto il tracollo della Grecia, per reddito, inflazione e scarsit di risorse. Come ne siamo usciti? Esattamente cos, Amato e Ciampi, egregi presidenti del Consiglio, hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di affrontare lÕinsieme dei problemi dellÕepoca con tutte le loro controparti.Con gli accordi tripartiti del 1992 e del 1993.Che hanno fatto solo bene al paese. E posso dire che il rispetto che Ciampi aveva in Europa valso oro in quelle circostanze. La credibilit della sua politica nasceva anche dal fatto che lui era una persona rispettatissima, gli elementi di novit lÕEuropa li ha accolti senza resistenze perch li proponeva Ciampi. Eravamo sullÕorlo del baratro, eppure ci siamo salvati, e tutti hanno partecipato, tutti hanno contribuito. Ci sono stati sacrifici, ma redistribuiti, e soprattutto finalizzati. E cos siamo riusciti a venire fuori da una crisi devastante, e a entrare nel gruppo di testa in Europa nel sistema della moneta comune e a rimetterci in corsa. Come poi sia andata questa corsa oggetto di discussione, di confronto di pareri, per non siamo caduti nel burrone.Sembrano cose molto lontane.Lo sono, ma non bisogna avere la memoria corta. Le condizioni economiche dellÕItalia allÕinizio degli anni novanta erano terribili e tutti se le sono dimenticate, ma sono storia. Io credo che da quello che successo sarebbe bene trarre qualche stimolo, qualche insegnamento.Cofferati lei ottimista o pessimista? Crede che forze politiche e sociali ce la possano fare?Tutto si pu sempre fare se cÕ volont, ma vedo sul piano della rappresentanza politica e sociale alcune lacune che non lasciano tranquilli. Il pessimismo della ragioneÉIl ruolo dello stato nellÕeconomia fin dove pu spingersi?Fino a diventare proprietario di aziende importanti in settori strategici, senza la necessit di restarlo per sempre, ma assumendosi questo onere e questa responsabilit per rimettere quelle attivit sul binario giusto.Come tante volte stato fatto negli anni.Esatto. Tante esperienze sono andate a buon fine, non si capisce perch si tenda a dimenticare. EÕ curioso, abbiamo una memoria incredibile per le cose che abbiamo fatto male, quelle che abbiamo fatto bene le accantoniamo con una rapidit impressionante. Ma sbagliamo.Massimo Mascini da ilcorrieredellavoro.it
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