Cecilia Strada, buttare la guerra fuori dalla storia

Per l’ex presidente di Emergency l’unica soluzione possibile è il disarmo totale, una sfida che il movimento pacifista e non violento deve raccogliere e vincere a tutti i costi quando il conflitto in Ucraina sarà concluso. Ne va della vita dei nostri figli.
Con Emergency di tragedie ne ha viste e vissute tante. Una lunga avventura per proteggere i diritti e le vite degli altri che Cecilia Strada, figlia del fondatore dell’organizzazione umanitaria Gino, attivista e saggista, adesso prosegue con ResQ People saving people, una Onlus che soccorre i naufraghi nel Mediterraneo, sulla rotta migratoria tra Africa ed Europa. Quando pensa a questa guerra alle porte del nostro continente dice che va fermata, “non abbiamo alternative: buttarla fuori dalla storia credo che sia l’unica opzione realistica che abbiamo, se teniamo alla pelle dei nostri figli”. L’abbiamo incontrata alla manifestazione di Roma del 5 marzo “Europe for peace”, una mobilitazione partecipata che però, come hanno fatto notare in molti, è arrivata in ritardo rispetto allo scoppio del conflitto in Ucraina.

Che cosa pensa di questa critica?
Questa è stata la prima iniziativa nazionale, ma nelle ultime settimane ce ne sono state altre, in tante città. Io vengo da Milano, dove abbiamo visto presidi molto partecipati, sebbene questo strumento negli ultimi anni non raccolga grandi folle. Vuol dire che su questo tema c’è sensibilità.

Crede che le persone abbiano paura?
Beh sì, c’è paura. Io naturalmente mi auguro che la guerra si concluda il prima possibile per via diplomatica. Poi però c’è qualcosa che dobbiamo fare dal giorno immediatamente dopo: cambiare il sistema. Dobbiamo renderci conto che quando questa guerra finirà, ce ne saranno altre decine ancora aperte, che fino a quando avremo centinaia di testate nucleari in grado di mettere fine alla specie umana, nessuno sarà al sicuro. Fino a che venderemo armi in tutto il mondo, ci sarà sempre un Putin che le userà. E se non è Putin, sarà qualcun altro.

Quindi lei pensa che l’unica soluzione sia il disarmo totale?
Penso che l’impegno pacifista e non violento comincerà davvero il giorno dopo la fine di questa guerra. Non dobbiamo mollare, dobbiamo andare avanti e chiedere il disarmo totale.

In questi frangenti sembra che il movimento pacifista abbia dimenticato che nel mondo ci sono tante altre guerre, per le quali non si è mobilitato come sta facendo adesso. Che cosa risponde?
È la classica domanda: ma dove eravate fino a ieri? In realtà i pacifisti sono in giro per il mondo a fare la pace, a costruire la pace. Sulle navi di soccorso, nei corridoi balcanici, a Ventimiglia, in Africa, ovunque serva costruire ponti o salvare vite. Ma io chiedo: quante volte viene messo un microfono sotto la bocca di un pacifista che non sia in tempo di guerra? Perché in realtà le cose le facciamo. Però forse dovremmo riuscire a comunicarle di più e meglio, farci ascoltare di più.

I corridoi umanitari che si stanno organizzando saranno sufficienti?
Probabilmente no perché si sta profilando una crisi umanitaria di proporzioni importanti. I corridoi umanitari sono una necessità e un’urgenza, ma bisogna andare avanti a lavorare sull’accoglienza liberandosi di un po’ di ipocrisie. Perché francamente sentire che i profughi vengono divisi tra veri e finti è assurdo. C’è da recuperare la barra su questo punto: diritti per tutti sempre vuole dire per tutti sempre.

Questa è la crisi umanitaria più grave del secolo, ha detto l’Unhcr. Condivide questa opinione?
Ci sono diverse crisi umanitarie aperte nel mondo, anche nel Mediterraneo c’è una crisi senza precedenti che dura da anni, un’emergenza umanitaria continua. Questa dell’Ucraina ha proporzioni certamente importanti, e per rispondere c’è bisogno dell’impegno di tutti, a partire dalle Nazioni Unite e poi della società civile e delle organizzazioni.

Di Patrizia Pallara da collettiva.it
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