Braccini, Multinazionali e fondi ledono la dignità dei lavoratori

Le multinazionali, un tempo creature dello Stato, rischiano di sopraffare il suo creatore.
Sono quasi sempre state filantropiche, ma il loro scopo è solo quello di massimizzare la ricchezza degli azionisti senza guardare in faccia a nessuno.
Il mercato da solo non è in grado di regolare le corporation, poiché sono insensibili alle esternalità, cioè ai costi che possono far ricadere su altri.
In origine, nel XVII secolo, nacquero come istituzione destinata a servire gli interessi nazionali e promuovere il bene pubblico, oggi sono fondate a fini di lucro, ma resta un punto fondamentale: sono un prodotto di politiche pubbliche, creazioni dello Stato, senza lo Stato la corporation non potrebbe esistere.
Il New Deal in America negli anni `30, come risposta alla grande depressione, diede avvio a norme senza precedenti nella storia: controllo pubblico sulle grandi multinazionali e banche, comprendendo che la fase depressiva sarebbe finita solo quando la mano invisibile del mercato fosse stata sostituita dalla mano visibile e umana dello Stato.
Siamo di nuovo in una fase dove ci vorrebbero delle scelte coraggiose da parte dei Governi.
Non bisogna cadere nell’idea che lo Stato sia diventato debole, anche se ovviamente la globalizzazione economica ha indebolito le capacità degli Stati di tutelare l’interesse pubblico. Tuttavia, sono le leggi in materia di lavoro e ambiente più blande da una parte, e quelle sui diritti societari, sulle proprietà e le Leggi sul commercio internazionale dall’altra, ad aver favorito la libertà delle multinazionali.
Lo Stato ha ancora potere sulle corporation, perché alla fine è lo Stato a poter dare il via libera alla loro costituzione e a rilasciare le autorizzazioni a poter operare.
I fondi speculativi invece sono di più recente creazione, il primo fu fondato nel 1949. Oggi i più grandi fondi posseggono patrimoni enormi, spesso comprano aziende per poi avviare ristrutturazioni in modo da far crescere il proprio patrimonio finanziario.
Difficilmente si notano fondi che acquisiscono aziende per rilanciarle. La loro logica é esclusivamente finanziaria e di riuscire a fare profitti nel più breve tempo possibile.
In questa fase c’è una liquidità quasi gratuita sui mercati.
Non è assolutamente vero che norme troppo rigide non fanno attrarre investimenti, questa è una visione distorta del mercato, anzi, è proprio il contrario, questo è il modo per attrarre i peggiori investimenti.
Lo Stato potrebbe invece imporre una serie di vincoli anche ai fondi se non vogliamo che distruggano parte del nostro patrimonio industriale. Non è impossibile vincolarli a mantenere per un periodo di tempo più lungo la proprietà delle aziende che acquistano, obbligarli a presentare precisi piani industriali, non accettare che abbiano sedi nei paradisi fiscali. È anche possibile aumentagli il livello di tassazione.
In Europa bisogna che vi siano regole uguali per tutti gli Stati, in questa fase è stato dimostrato che quando si vuole le risorse si trovano, ora manca un segnale chiaro di azione coordinata e solidale. L’economia globale basata sullo sfruttamento giungerà al termine solo quando saranno stabilite e applicate norme sui diritti umani e sindacali.
L’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Un profitto equo che ripaghi gli imprenditori (e non gli speculatori) delle loro capacità, del loro impegno, degli investimenti fatti, ma è fondamentale che l’economia svolga anche una funzione sociale, crei posti di lavoro, incrementi lo sviluppo economico e sociale della zona, sia utile alla collettività, assicurando ai lavoratori quella fondamentale esistenza libera e dignitosa.
Il Governo deve definire un indirizzo di politica industriale nazionale, ormai assente da oltre 30 anni, e coordinarsi a livello europeo, esercitare e valutare anche specifici interventi pubblici di accompagnamento affinché si fermi lo scempio del nostro patrimonio industriale, pena l’arretramento del nostro paese a un nuovo evo post moderno. Non ci sarà ripresa che tenga senza che vengano mantenuti i fondamentali sistemi industriali, in altri paesi li stanno difendendo e studiano politiche volte a far riavvicinare anche le aziende ai territori, qui invece si seguono le vertenze caso per caso. Ci vuole un piano dilungo respiro affinché si prevengano le crisi, non si può affrontare il Piano nazionale di ripresa e resilienza senza preoccuparci della transizione industriale ed ecologica di interi settori. Servono vincoli per le imprese, avere la capacità di accompagnare i profondi cambiamenti che avverranno.
Senza adeguati ammortizzatori sociali sarà impossibile gestire una fase di lunga transizione.
Il 65% dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari farà lavori che ancora non esistono. Purtroppo non sembra che nemmeno i partiti politici abbiano la capacità di analizzare le tendenze del capitalismo italiano, le filiere produttive su cui puntare nella divisione internazionale del lavoro e le infrastrutture materiali ed immateriali da realizzare.
La Toscana potrà continuare a essere una potenza industriale come nel 900 se vi saranno idee chiare su quella che sarà la regione industriale del futuro.
Vi sono industrie avanzate, ma bisogna batterci per far ripartire gli investimenti sulla siderurgia e metallurgia, avere la capacità di accompagnare la transizione dell’auto, senza aver timore delle novità. Di pari passo non bisogna permettere che importanti settori del lusso come la nautica, dove la maggior parte dei cantieri risiedono sul demanio pubblico, competano sulla riduzione dei diritti e delle retribuzioni, sui ricatti e sullo sfruttamento dei lavoratori.
I poteri di intervento anche la Regione può esercitarli, sono scelte politiche.
Vanno assolutamente risolte le crisi aperte e come metalmeccanici lotteremo per difendere i diritti dei lavoratori e il sistema industriale.
Le iniziative di scioperi e mobilitazioni andranno avanti fino a che non riceveremo risposte dal Governo.
Massimo Braccini segretario generale Fiom Cgil Toscana

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