Pil, Prometeia: -10% nel 2020, ritorno livelli pre-Covid nel 2025

Dopo l’emergenza sanitaria, l’Italia tenta di tornare alla normalità ed è entrata in una fase di convivenza con il virus. Con una recessione nel secondo trimestre di portata storica (- 12,9%), Prometeia nel suo Rapporto di previsione di luglio stima per l’intero 2020 una caduta del prodotto del 10,1%. In una fase di grande incertezza, che influenza in modo negativo la propensione al consumo e all’investimento, la risposta della politica fiscale (5 punti percentuali di Pil nel 2020) è stata in linea a quella degli altri Paesi europei. Tuttavia non sembra in grado di riavviare in modo deciso la domanda interna, frenata anche dalla forte incertezza che ancora pervade le aspettative degli operatori e dal crollo del commercio internazionale. Tutto ciò si sta traducendo anche in un forte aumento delle disponibilità liquide di famiglie e imprese. Il recupero dei livelli di attività pre-Covid avverrà solo nel 2025.
“Alla peggiore recessione mai registrata in tempi di pace – scrive Prometeia nel Rapporto – seguirà un rimbalzo il prossimo anno, via via che tutte le attività economiche (compreso il turismo e l’intrattenimento) potranno tornare a livelli normali di operatività e, con esse, l’occupazione e il reddito degli operatori più colpiti. Le misure di policy introdotte, certamente tempestive, ampie e innovative, stanno aiutando e aiuteranno a contenere i costi di questa crisi ma, nel caso del nostro paese, già gravato da un elevatissimo debito pubblico, non sembrano sufficienti né a impedire la flessione nel 2020 né a sostenere successivamente un rimbalzo in grado di compensare la recessione: Prometeia prevede che solo nel 2025 il Pil potrà ritornare ai livelli pre-Covid”.
Secondo lo studio di Prometeia la fase del superamento vedrà l’Italia con un livello di attività economica inferiore a quello pre-crisi, con meno occupazione, con un livello di risparmio delle famiglie più elevato e di debito delle imprese non finanziarie e del settore pubblico più alto.
Più in generale, con un aumento delle disparità a molti livelli, nella distribuzione funzionale e personale del reddito, tra i generi e le classi di età, tra settori produttivi e territori: a farne le spese in misura maggiore le piccole imprese e i lavoratori autonomi e meno istruiti.
In questo contesto, secondo l’istituto bolognese, gli interventi massicci della Bce sono stati essenziali nella fase acuta della crisi ma non possono risolvere problemi strutturali. In questa direzione un’opportunità da non sprecare arriva dall’inedita possibilità di accedere a fondi pubblici potenzialmente ingenti e a condizioni molto favorevoli. Se indirizzate in modo corretto verso le ben note aree di fragilità della nostra economia (dalla sanità ai servizi per la “silver economy”, dalla scuola alle infrastrutture), queste risorse potrebbero far fare all’Italia quel salto di produttività, e dunque di crescita, che manca da ormai 25 anni.

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