No alla Cittadella della disabilit?, s a uninclusione sociale vera

Vogliamo esprimere la nostra contrariet? al progetto della ?Cittadella della disabilit?? di Empoli, e auspichiamo che si realizzi una coesione politica fra tutte le forze che considerano l’inclusione sociale come un valore aggiunto per la crescita di tutta la comunit?. E iniziamo questo contributo alla discussione, riguardante la nostra contrariet? al centro polivalente per disabili, con il concetto caro al professor Adriano Milani Comparetti, pediatra e neuropsichiatra, specializzato in paralisi cerebrali, colui che ha smosso le coscienze e ha trascinato operatori e utenti nella lotta per l’integrazione dei soggetti disabili nella societ? di tutti, transitando questo traguardo dall’utopia alla realt?. In una delle sue ultime interviste affermava che, quando aveva fondato i suoi centri, ci aveva messo poco tempo a riempirli, mentre c’erano voluti molti anni per far avanzare i processi inclusivi e per restituire i ragazzi alla societ?. Le sue collaboratrici sostenevano, in sintonia con Milani, che la riabilitazione fine a se stessa non serve a niente, non funziona. Perch? questa sia efficace deve avvenire necessariamente in un contesto di inclusione sociale e, meglio ancora, nel contesto di vita della persona con disabilit?.Questo ? il modo pi? efficace per evitare le gabbie d’oro o isole dove, nel migliore dei casi, non manca niente dal punto di vista materiale, ma viene meno quella affettivit? che ? il frutto dell’intreccio con le relazioni interpersonali che ? facilitato dall’inclusione sociale a tutto tondo. Oltre alla ghettizzazione data dalle gabbie d’oro, si evitano fenomeni di maltrattamenti e abusi di vario genere al punto da diventare dei veri e propri lager, purtroppo ritornati di cronaca in questi giorni. Il nostro obiettivo, oggi, ? lottare per un’inclusione vera. Solo attraverso un’inclusione sociale autentica la comunit? vive e cresce. Un’inclusione sociale che non sia solo di facciata, ma sostanziale e a tutto tondo. Solo in questo modo gli individui possono crescere, stimolandosi reciprocamente e contribuire al benessere della societ?.Noi crediamo fermamente che ogni individuo abbia delle potenzialit? importanti da esprimere e da mettere al servizio degli altri. Il solo modo per fare questo ? lavorare tutti insieme per una reale inclusione sociale. La Cgil ? il sindacato dei diritti e della solidariet?, come afferm? il suo ex segretario Bruno Trentin, perch? si rendeva conto che a fronte delle esigenze poste dalle persone pi? deboli per vari motivi, a ben guardare, dei risultati non ne beneficiavano solo i richiedenti, ma, inevitabilmente, tutti. In questi anni di crisi economica e soprattutto politica, perch? di quest?ultima si tratta, ognuno deve riappropriarsi del proprio compito: la ?politica? come luogo di regolazione degli interessi particolari per individuare sintesi collettive, una risposta all’intera societ?, funzione che dovrebbero svolgere i partiti politici, ma che con la loro scomparsa o meglio la personalizzazione non riescono pi? a fare. In questa situazione, gli sforzi del Coordinamento Disabilit? della CGIL hanno finito per svolgere un ruolo di supplenza della politica, perch? sono volti alla ricerca ed alla progettazione di una societ? possibile, in cui la solidariet? fra soggetti ?forti? e ?deboli? fosse il fattore distintivo e qualificante nei rapporti fra i suoi componenti.Spesso, noi persone disabili veniamo accusati, anche da chi rappresenta le istituzioni, di essere eccessivi nelle richieste; vogliamo quindi chiarire, cosa significa essere una persona disabile o averla in famiglia, i bisogni, le energie necessarie, le spese che un nucleo familiare deve fornire per permettere ad un disabile una vita degna di essere vissuta.Il welfare ? la condizione sine qua non di una societ? che vuole ridurre le disuguaglianze. La presente affermazione pu? apparire retorica, visto che la nostra Costituzione, negli articoli 2 e 3, prevede esplicitamente tra i suoi principi fondamentali lo stato sociale. Una societ? che voglia fregiarsi della qualifica di ?civile? deve essere una societ? che offra un welfare personalizzato cio? a misura d?uomo, presupposto riscontrabile solo in societ? mature e consapevoli, con elevato grado d?istruzione. Ecco un?altra ragione dell?importanza fondamentale dell?istruzione: dare a tutti la capacit? di potersi emancipare. In una societ? civile, il welfare ? strutturato in modo da offrire a chiunque ne abbia bisogno, in qualunque momento della propria vita, l?accesso agli strumenti pi? idonei al superamento della criticit? esistenziale incontrata. La societ? che definiamo civile ? consapevole degli elevati investimenti economici e culturali necessari per un welfare di qualit?, in grado di assistere le persone bisognose, ma ? altrettanto consapevole che il recupero, anche non al 100% di queste persone, si traduce comunque in un progresso per l?intera comunit?. Tale processo passa ineluttabilmente attraverso il riconoscimento della dignit? e della possibilit? concreta di integrazione dei soggetti ?deboli?, fornendo loro la consapevolezza della propria importanza e fornendo loro la possibilit? di dare il proprio contributo al progresso collettivo. Parliamo quindi di vita indipendente, di autodeterminazione: questo vale, a maggior ragione, per quelle persone che hanno una disabilit? psichica, anche se ci rendiamo conto che la questione ? pi? complessa. Per poter realizzare concretamente ci?, occorre che la societ? che si fregia dell?aggettivo civile dia al cittadino gli strumenti per poter scegliere liberamente, evitando le non scelte ed ogni forma di costrizione, anche in caso di opzioni economiche o religiose, apparentemente ?migliori?. I principi di scelta dignitosa e di autodeterminazione devono valere per tutti, e tanto pi? per quelle persone che, per una ragione o per l?altra, si trovano nelle fasce deboli della societ?. Questa ? la posizione del Coordinamento delle Politiche per la Disabilit?, fatta propria da tutta la Cgil.(l’autore ? coordinatore delle politiche della disabilit? in Cgil Toscana)

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