La storia complessa, dolorosa, piena di svolte e di colpi di scena drammatici.La sostanza per quello che che conta. E ci parla di dieci lavoratori della Almar di Cerbaia (storica tessitura del nostro territorio), due uomini e otto donne, che per una serie incredibile di passaggi non hanno pi nessun diritto. Come invece avrebbero potuto se le cose fossero procedute in maniera regolare.N all’ammortizzatore sociale della cassa integrazione; n alla mobilit e, quindi, nemmeno all’inserimento delle liste di mobilit . Che per chi cerca un lavoro vuol dire sgravi fiscali per il nuovo datore di lavoro.Ma c’ di pi: per tre di queste donne, fra cui una che ha lavorato per 38 anni nella tessitura di Cerbaia, il veder saltare questi passaggi vuol dire anche veder svanire nel nulla il percorso gi tracciato verso la pensione. E ritrovarsi in una drammatica terra di nessuno. Senza lavoro, senza contributi. Senza prospettive.A ricostruirla questa storia Silvia Mozzorecchi (in foto), delegata Filctem Cgil, che l’ha seguita tutta fin dall’inizio.Si inizia nel maggio del 2012, con la sottoscrizione di un contratto di solidariet per i 29 dipendenti (per la stragrande maggioranza donne) della durata di un anno. Poi, nel marzo del 2013, l’azienda – dice Mozzorecchi – inspiegabilmente ha comunicato la necessit di interrompere il contratto di solidariet prima della scadenza. E’ stato quindi richiesto l’accesso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi aziendale.E’ l’inizio di un terribile piano inclinato senza fine: Il 4 aprile del 2013 – prosegue Mozzorecchi – l’azienda ha comunicato la creazione di una nuova societ , la Calonaci Srl, che non poteva riassorbire tutto il personale, ma soltanto 19 dipendenti.Ma visto che la legge – sottolinea – in questi casi prevede che ci sia il passaggio diretto di tutti i dipendenti, la propriet ha fatto pressione nei confronti dei lavoratori per far firmare dei verbali di rinuncia di passaggio alla nuova societ : insomma, dovevavno essere tutti d’accordo e accettare l’eventuale perdita del lavoro nella nuova azienda.Si pu immaginare il dilemma drammatico di queste 29 persone chiamate a porre una firma davvero pesante sul loro futuro. E se anche una sola di loro avesse rifiutato avrebbe fatto saltare tutto.Questa clausola – continua Mozzorecchi – fortemente respinta dalla Cgil, stata comunque accettata dai lavoratori, che sono stati condizionati anche dal fatto che non riscuotevano lo stipendio da molti mesi. La prospettiva di chi rimaneva in Almar (otto donne e due uomini) era di restare in CIGS (successivamente sarebbe subentrata quella per concordato) e poi entrare in mobilit .Uno scivolamento verso il mondo della non occupazione certo, ma almeno con l’accompagnamento degli ammortizzatori sociali per i quali, durante i loro anni di lavoro, hanno ovviamente versato tutti i contributi dovuti.Le cose vanno avanti come da programma: Il 21 maggio 2013 – ricostruisce ancora Mozzorecchi – la manifattura Almar comunica l’impossibilit di proseguire l’attivit , vista la nascita della Calonaci che aveva preso i suoi clienti e gli ordini, e chiede quindi la sottoscrizione della CIGS per cessazione di attivit . La Almar era quindi destinata al concordato, come ci stato confermato in una riunione del 5 novembre 2013, e i lavortori avrebbero potuto aver accesso al percorso CIGS-mobilit .Ma qui arriva l’inghippo: il 13 novembre viene dichiarato il fallimento della societ nonostante – spiega ancora Mozzorecchi – le numerose rassicurazioni che ci erano state date. Abbiamo successivamente scoperto che l’azienda aveva ritirato il concordato e aveva presentato il fallimento in proprio, tacendo questa decisione a sindacato e lavoratori.E’ un dramma a cui, si scoprir presto, non si pu pi porre rimedio: Bastava essere contattati il giorno prima del fallimento – dice incredula Mozzorecchi – quando era ancora l?azienda ad avere in mano la vita di s stessa, e con i lavoratori avremmo deciso cosa fare: probabilmente avrei suggerito di farsi mettere tutti in mobilit . Almeno avremmo avuto la possibilit di scegliere, di essere informati e decidere il percorso da fare. Tutelando al massimo le persone.Questo non avvenuto – dice con amarezza – abbiamo dovuto attendere i tempi tecnici del fallimento, in seguito al quale sono stati fatti molti incontri con la curatrice fallimentare. In Provincia, l?8 aprile, emerso che la Calonaci Srl ha aperto una Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria per tre mesi, un campanello di allarme anche per gli altri lavoratori rimasti.Ma, anche, la pietra tombale sulle speranze dei dieci: La buona salute della Calonaci – spiega infatti Mozzorecchi – era lo strumento che serviva all?Almar per prendere la cassa integrazione. Secondo la Legge Fornero infatti, per poter accedere alla CIGS, serve che ci sia una possibilit di ripresa, anche parziale, dell’attivit . E quindi la curatrice ha dovuto provvedere al licenziamento delle lavoratrici Almar (arriver a breve la lettera), che non hanno pi diritto neanche all?indennit di mobilit visto che la manifattura Almar rimasta sotto i 15 dipendenti negli ultimi sei mesi. Niente cassa, niente mobilit , niente iscrizione alle liste di mobilit determinanti in caso di ri-assunzioni.Una tragedia. Che per, e qui sta la rabbia della sindacalista, si poteva tranquillamente evitare: Bastava essere informati dall’azienda in maniera limpida e avremmo preso le nostre decisioni: stata lasciata letteralmente per strada gente che ha lavorato per anni e anni in quell’azienda. I titolari si dovrebbero mettere una mano sul portafoglio e dare una mano almeno alle tre persone che hanno perso il diritto (maturato) alla pensione: o pagando i contributi o ri-assumendole per farle lavorare. C? stata una totale incapacit di gestione di tutta la situazione.La cosa che d pi fastidio e che davvero surreale – conclude Mozzorecchi – non che queste persone siano state licenziate. E’ un qualcosa che purtroppo ci sta nel dramma sociale che stiamo vivendo in questi anni: quello che inconcepibile e vergognoso che gli stato negato il diritto agli ammortizzatori sociali e alla pensione che avevano maturato. Gli sono stati strappati i diritti che avevano maturato con il loro lavoro. da www.gazzettinodelchianti.it,
101 4 minuti di lettura